Il processo
Alex uccise il padre violento per difendere la madre. L’audio choc della donna: «Sono stanca, se mi succede qualcosa è stato mio marito»
Registrato da Maria Cutaia il 5 dicembre 2016, quattro anni prima del delitto. La testimonianza in Corte d’Assise a Torino: «Non sarei qui se non ci fosse stato mio figlio»
«Oggi è il 5 dicembre del 2016. Sono stanca, mio marito mi bombarda di telefonate. Mi insulta. Se mi dovesse succedere qualcosa, sia a me che ai miei figli, è stato sicuramente lui. Chiama sia qui a casa che al telefono. Non ce la posso più fare». È il messaggio inciso da Maria Cutaia quattro anni e mezzo fa. Quel giorno il marito Giuseppe Pompa l’aveva tempestata di telefonate. Le sue parole suonano come un testamento che vuol lasciar traccia di tutte le vessazioni e le umiliazioni subite nel corso del proprio matrimonio. Quattro anni più tardi, il 30 aprile del 2020, Giuseppe Pompa, 52 anni, viene ucciso dal figlio Alex appena diciottenne. Succede la sera, alle 22.42. «Se non fosse per mio figlio a quest’ora non sarei qui, mi ha salvato la vita», dice la donna davanti alla Corte d’Assiste presieduta dal giudice Alessandra Salvadori. Suo figlio l’ascolta: il ragazzo deve rispondere di omicidio.
La donna racconta quegli anni di inferno: «Era ossessionato dalla gelosia. Ha tentato in tutti i modi di cancellarmi. Non potevo bere un caffè con le amiche, non potevo partecipare alle cene aziendali. Per tutto dovevo dipendere da lui, persino per andare dal medico». Maria Cutaia spiega come la situazione sia andata sempre peggiorando, soprattutto negli ultimi dieci anni. «La mattina andavo al lavoro, quando andavo in pausa dovevo avvisarlo con un messaggio e lui mi chiamava. Mi chiamava anche 40, 50 volte al giorno», riferisce ai giudici. E poi le minacce e i soprusi: «La sera del mio 51esimo compleanno ha perso le staffe perché avevo ricevuto un messaggio di auguri».
Molto litigi in famiglia sono documentati. I figli Alex e Loris già nel 2018 avevano cominciato a registrare gli scatti d’ira di Giuseppe. «Temevamo per le nostre vite. Se mai fosse successo qualcosa, volevamo che la verità venisse a galla. Volevamo che si sapesse che era stato lui».
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