L’incuria educativa ignorata

di Angelo Panebianco

Preoccupa il disinteresse di chi è nelle posizioni apicali dei diversi settori (politica, economia, cultura) per il livello di preparazione della maggior parte dei giovani

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Illustrazione di Doriano Solinas

Tema: la classe dirigente italiana e i processi educativi. Svolgimento: spiegare come mai per la suddetta classe dirigente sia irrilevante l’impoverimento in corso del capitale umano a disposizione del Paese. Collegare tale implicito giudizio di irrilevanza al disinteresse, ampiamente comprovato, di politici di primo piano, imprenditori, banchieri, leader sindacali , grandi professionisti, alti prelati, intellettuali di rango eccetera, per ciò che riguarda la condizione delle scuole e dell’Università. Chiedersi se, per questa ragione, si possa ipotizzare che in Italia una classe dirigente non esista più. In caso di risposta affermativa fare qualche considerazione sulle cause di tale scomparsa. Lasciando a chi ne avesse voglia il compito di svolgere il suddetto tema, faccio qualche considerazione sulle ultime notizie, ancora una volta allarmanti, sulla condizione dei processi educativi in Italia.

«La Dad ha fatto crac». Così iniziava (Corriere del 15 luglio) l’articolo di Gianna Fregonara e Orsola Riva sui risultati dei test Invalsi. Il Covid si è abbattuto su una scuola che in tante parti d’Italia era già malissimo in arnese, le ha inferto un colpo devastante. Risulta che il 70 per cento degli studenti del Meridione sia impreparato in matematica. Malissimo anche l’apprendimento dell’italiano. I pessimi risultati di tante scuole meridionali però non possono nascondere un generale arretramento della qualità della preparazione degli alunni. Il Covid ha semplicemente esasperato fenomeni già in atto da molti anni e, in virtù dei quali, la scuola italiana ottiene sempre pessimi punteggi nelle classifiche Ocse.

Chiara Saraceno (La Stampa) lo ha definito un «disastro antropologico». Concordo e sottoscrivo. Qui, nell’indifferenza generale, si stanno mandando al macero generazioni di studenti. E si sta preparando un pessimo futuro per l’Italia. Che si farà quando il Paese avrà un numero ancora più grande (sono già tantissimi) di analfabeti funzionali e tuttavia diplomati? Sarà una buona notizia per l’economia? Una buona notizia per la democrazia italiana?

È certamente giusto discutere se gli insegnanti debbano vaccinarsi o no (proporrei di non «conculcare», come dice qualche buontempone, la libertà dell’insegnante che non si vuole vaccinare, basta escluderlo dall’insegnamento). Ma poi, c’è anche un’altra faccenduola che richiederebbe l’attenzione di tutti: che fare con gli insegnanti che hanno le classi più disastrate? Come convincerli a lavorare meglio per concorrere a raddrizzare la baracca? Forse i lettori non sono a conoscenza del fatto che alcuni sindacati della categoria (molto ascoltati, pare, dai 5 Stelle e non solo) vorrebbero ottenere la soppressione dei test Invalsi. In modo che nessuno più si accorga dell’esistenza di buone e cattive scuole, nonché di insegnanti bravi e anche bravissimi che, con pari stipendio, convivono con insegnanti mediocri e pessimi.

Il ministro della Pubblica istruzione, che è anche un docente universitario ed ex rettore, a opinione di chi scrive, dovrebbe parlare al Paese. Spiegare quali provvedimenti intende prendere per fare in modo che le scuole peggiori si avvicinino agli standard delle migliori, per arrestare la tendenza delle scuole in molte aree del Paese (ma attenzione che scuole così ce ne sono un po’ ovunque in Italia) a trasmettere impreparazione e incompetenza, ad allevare generazioni di semi-analfabeti.

Forse occorrerebbe la formazione di una sorta di «gabinetto di guerra» (con il premier, il ministro della Pubblica istruzione, dell’Università, della Pubblica amministrazione, del Sud e la coesione territoriale ) per stabilire le contro-misure. Da un lato, occorre inviare un messaggio agli studenti: se non vi preparate, e se non pretendete il massimo sforzo dai vostri insegnanti, il vostro futuro sarà nero. Non troverete lavoro o vi dovrete accontentare di pessimi impieghi. Ma un messaggio del genere non arriva a destinazione se si risolve solo in qualche predica moralistica. Si tratta di mandare segnali chiari. Per esempio, rendere difficoltoso l’accesso alle università, rendere molto più rigorosi e severi i concorsi pubblici eccetera. Il messaggio sarebbe: studiate duro, altrimenti troverete solo porte sbarrate.

È evidente però che la responsabilità dei ragazzi e delle loro famiglie (che pure c’è: escluse infanzia e prima adolescenza, chiunque è responsabile di ciò che fa) è comunque limitata.

Qui si tratta di mandare anche un messaggio forte agli insegnanti. In Italia non è ipotizzabile nemmeno per celia che un insegnante di comprovata incapacità venga licenziato. Ma è inaccettabile, e anche disfunzionale, che un bravo e un cattivo insegnante ricevano lo stesso trattamento. Si ricorra a un sistema di incentivi e disincentivi: i professori con i migliori risultati in termini di preparazione degli studenti ottengano un (cospicuo) premio annuale aggiuntivo. Essi vengano anche premiati con cerimonie pubbliche nelle scuole di appartenenza: per rimarcare la differenza fra i bravi e gli altri e per costringere questi ultimi, se ne sono capaci, a darsi una mossa.

Ritorniamo al punto di partenza: esiste una classe dirigente? Il disinteresse di chi occupa posizioni apicali nei diversi settori (della politica, dell’economia, della cultura) per i processi educativi fa propendere per una risposta negativa. Una classe dirigente si preoccuperebbe assai nel momento in cui si accorgesse che i meccanismi mediante i quali si forma il capitale umano si sono inceppati. Una classe dirigente sa che non basta che una minoranza di giovani raggiunga posizioni alte e anche eccellenti (cosa che naturalmente avviene) nell’istruzione universitaria e post-universitaria. Una classe dirigente sa che se il livello di preparazione della maggior parte dei giovani è inadeguato ciò comprometterà il futuro del Paese.

Se non ora quando? Per un colpo di fortuna o della Provvidenza, c’è in Italia un governo che ha le qualità e la visione per comprendere quale sia la posta in gioco. Dovrebbe imporre la propria volontà, anche in questo settore, a stuoli di praticoni indifferenti. Con la stessa energia con cui cerca di imporla sul Recovery fund.

19 luglio 2021 (modifica il 20 luglio 2021 | 10:34)