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Mps, la vendita è tutta in salita. L’ipotesi di più tempo al Tesoro

Dopo il «no» di UniCredit la scadenza di fine 2021 resta di difficile praticabilità. Per il Tesoro la chance della proroga. I tre nodi: stress test, aumento e cause

di Luca Davi

(EPA)

2' di lettura

Potrebbe servire ancora del tempo per conoscere il futuro di Monte Paschi di Siena e il nome (o i nomi) dell’eventuale compratore. Perchè mentre sembra un po’ più in salita, almeno per il momento, l’ipotesi di un’aggregazione con UniCredit - che tuttavia in questi giorni è in costante contatto con gli advisor del Mef in cerca di una quadra - è anche vero che le alternative scarseggiano. E, di conseguenza, salgono le quotazioni di una proroga della presenza dell’azionista Mef nel capitale della banca senese, scadenza al momento fissata al 31 dicembre 2021.

Il verdetto degli stress test Eba/Bce

L’intreccio, del resto, è complicato. Ciò che è certo è che a fine mese si alzerà il velo sull’esito degli stress test Eba/Bce, e lì si capirà ufficialmente lo shortfall di capitale accumulato da Siena nello scenario avverso. Chi è vicino al dossier ritiene che il gap destinato ad emergere sia ragionevolmente colmabile con l’aumento di capitale che la banca ha già messo in conto: 2,5 miliardi di euro da iniettare entro marzo/aprile 2022.

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A stemperare i timori di una pesante insufficienza patrimoniale è stato lo stesso ceo di Mps, Guido Bastianini, che nei giorni scorsi alla Commissione Banche ha detto che il fabbisogno prospettico di capitale di Mps, già sceso da 1,5 a sotto il miliardo di euro, «potrebbe risultare in ulteriore riduzione, grazie all’evoluzione del contesto macroeconomico e alla conseguente dinamica economica della banca».

Il problema è che l’aumento di capitale che la banca dovrà realizzare rappresenta fino ad oggi un’opzione subordinata al perseguimento di una “soluzione strutturale” - ovvero di un’aggregazione - che però al momento ancora non si vede.

Le ipotesi su Unicredit

Le trattative tra UniCredit e gli advisor del Mef stanno proseguendo frenetiche in questi giorni. L’ipotesi di un ingresso della banca paneuropea nella data room di Siena, secondo alcune fonti vicine al dossier, rimane ancora sul tavolo. Molte però sono ancora le questioni aperte, dalla sterilizzazione delle cause legali che pesano sulla banca – dieci miliardi, di cui 3,4 chiesti dalla Fondazione – alla neutralizzazione degli impatti sul capitale, dalla liberazione della banca dagli Npl – per cui verrebbe in soccorso Amco – allo scioglimento di tutti gli accordi in essere sulle fabbriche-prodotto di Mps, come chiesto da UniCredit. Al momento la banca di piazza Gae Aulenti, come ribadito nei giorni scorsi dal ceo Andrea Orcel, preferisce focalizzarsi sulla riorganizzazione della in vista della presentazione del piano industriale in autunno.

I PROTAGONISTI DEL RISIKO
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«Al momento, voglio concentrarmi sulla nostra banca, sulle risorse all’interno del nostro Gruppo - ha detto nei giorni scorsi il banchiere romano - Le opportunità esterne rappresentano solo un acceleratore». Accanto all’ipotesi UniCredit resterebbe poi in piedi la “soluzione di sistema”, con lo scenario di uno spacchettamento tra più banche.

In questo contesto, da quanto riportato da più fonti sembra pressoché scontata l’ipotesi di una proroga oltre il 31 dicembre della permanenza del Mef nell’azionariato di Siena, oggi al 64%: un passaggio questo che sarebbe ovviamente da validare e concordare con Bruxelles. Tale mossa però si renderebbe necessaria sia per far prendere forma a un accordo in extremis con UniCredit, sia qualora - in assenza di un incastro con piazza Gae Aulenti - fosse necessario ragionare su schemi differenti per il Monte.

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