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Fenomeno “childless”: in Italia una su quattro non ha figli. E non sempre per scelta

«Dicono “non sei mamma, e non puoi capire”. Ma capire cosa? Usare la maternità come un’illuminazione esistenziale rende un pessimo servizio alle donne». È bastata questa frase di Lilli Gruber a scatenare subito, in rete, tra i social, l’insurrezione tra mamme, non mamme per scelta, madri mancate, mamme “assistite”, mamme per caso. Tra tutte, insomma. La ragione? Semplice: la conduttrice di Otto e mezzo su La7, ospite di Mama non Mama, il podcast sulla maternità del Corriere della Sera condotto dalla vicedirettrice Barbara Stefanelli, non ha fatto che ribadire un tabù su cui l’universo femminile si arrovella da sempre: l’identità di una donna passa (solo) attraverso la volontà di fare un figlio?

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I figli che non vogliamo

Nella “guerra” di like e commenti si è aggiunto un articolo di Ritanna Armeni su Il Foglio: I figli che non vogliamo. Qui la giornalista sostiene che alla base della crisi demografica non ci siano solo questioni economiche e sociali, ma ben altro e di molto più profondo e sottovalutato: le scelte delle donne. Apriti cielo. Nel gruppo Facebook Il cantiere delle donne, nato durante il lockdown e formato perlopiù da professioniste, le critiche sono proseguite così a lungo che la fondatrice, la giornalista Micaela Faggiani, per dare un senso alle polemiche ha voluto organizzare un webinar sul tema. «Le donne non fanno figli perché l’Italia è una nazione che non dà speranze» ha scritto qualcuno. «Una scelta, vero, e anche una vocazione, perché io neppure da bambina giocavo a fare la mamma».«Sì, se non sei madre non puoi capire. Perché ti dà una prospettiva diversa: toglie il me dal centro della vita». «Non è illuminazione esistenziale, è semplicemente esserci passate» ha quindi chiosato un’altra lettrice.

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Hai figli?

La questione “mamme-non mamme” non mette sicuramente tutte d’accordo, in effetti. Ma è, in assoluto, su chi non fa il “grande passo”, per scelta o per impossibilità, che si abbatte forte la scure della discriminazione e dello stigma. La sensazione della lettera scarlatta addosso si insinua con la classica provocazione:    «Allora, cara, il pupo quando arriva?». Oppure con la più brutale e indelicata, eppure normale, delle domande: «Hai figli?». Io, ad esempio, che ho perso la mia unica bimba, Carolina, venti ore dopo la nascita, per legittima difesa mi sono inventata la formula: «Sì, ho avuto una bambina» mettendo a tacere, non senza imbarazzo, ulteriori precisazioni. Ma quanto dolore ogni volta dietro a questa giustificazione.

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Cultura tradizionalista

Il problema è che le “childless”, letteralmente le “senza figli” nella narrativa sociologica, di cui mi ritrovo a far parte, raggruppano un universo di situazioni differenti e complicate dove la mistificazione della maternità perde senso. Ci sono le “permanent postponers”, le donne che rimandano la questione perché non hanno ancora deciso se un bambino rientra tra le priorità, le senza figli “by circumstance” (tra le cause: una malattia, problemi di fertilità, l’assenza di un partner), le ondivaghe (in attesa della carriera, della stabilità, di tempi migliori) e le “childfree”, le dure e pure decise a non riprodursi senza “se” e senza “ma”. Un mondo che è stato documentato anche nel film Usa Kid or not to kid, dove la regista Maxime Trump esplora, senza pregiudizi, le vite delle donne senza figli. « Sì, è vero: la maternità mancata oggi viene vista ancora come minacciosa» sostiene Barbara Stefanelli che è anche direttrice del magazine 7 del Corriere della Sera. « Forse perché significa uscire da una certa cultura tradizionalista dove il solco familiare è ancora l’unico possibile ».

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Boom delle “childless”

Eppure, sorpresa: l’Italia è nella top ten del fenomeno. Negli ultimi cinquant’anni si è assistito a un boom consistente. Una su quattro delle nate nel 1979 è in questa condizione, pari al 22,6 per cento, rivela la ricerca Child Zero in corso all’università di Padova con Fondazione Cariparo. « Giappone a parte, il nostro Paese supera Spagna, Germania, Austria e Finlandia» sostiene l’autrice Maria Letizia Tanturri, docente di demografia nell’ateneo. E, allora, perché mancano rispetto e sensibilità? «Attenzione, non parlerei di discriminazione da una parte sola, ma piuttosto di devalorizzazione reciproca» osserva Giulia Zanini, curatrice di Li(N) C- Lives with (No) Children, ricerca finanziata da Piscopia – Marie Curie Fellowship dell’Università di Padova. «Anche le mamme sono spesso demansionate, ad esempio, sul lavoro. Nonostante la forte pressione sociale a diventare madri, non ci sono una scelta o una posizione ideali».

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La “non mamma”

«Una delle ragioni per cui le persone si fissano sulla maternità nasce dalla convinzione che i bambini siano la strada per realizzare appieno la nostra capacità di amore. Ma ci sono così tante cose da amare oltre la propria prole» ha ricordato ancora Lilli Gruber nel podcast Mama non Mama. In effetti è così: si può essere madri in tanti modi. In quella che si chiama “genitorialità sociale”. E lo ha dimostrato anche Susanna Tartaro, curatrice di Fahrenheit per Rai Radio 3, che ha appena scritto La non mamma (Einaudi) e che sulla questione si è pacificata. Nel libro gira per Roma in motorino e osserva con occhi finalmente liberi situazioni, paesaggi, persone. «La non mamma ha un “non” davanti e ci sarà sempre qualcuno che dirà: “Tu non puoi capire”. Ma io ho imparato a ragionare oltre le etichette» racconta.«Ho superato la mancanza e ho maturato una mia visione in cui considero idealmente “figli” le persone cui dedico attenzione, che possono andare dal fruttivendolo sotto casa all’anziano che mi passa vicino».

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L’isola delle madri

«Ho un sogno: che un giorno non ci siano più differenze tra chi fa figli e chi non ne ha» afferma la scrittrice Maria Rosa Cutrufelli nel docufilm Lunàdigas (vedi riquadro sopra). Il suo ultimo romanzo ha un titolo distopico: L’isola delle madri (Mondadori). In un mondo annientato dal cambiamento climatico, e dalla sterilità, immagina un’isola nel Mediterraneo dove un gruppo di donne tenta di sconfiggere la malattia del vuoto e la spartizione dei ruoli familiari. Un richiamo alla comprensione. Senza barriere. Lunadigas

Senza figli? Sei una “lunàdigas”

“Non mamme”, childless: è difficile incasellare la scelta di non avere figli nella lingua italiana. Semplicemente non esiste il concetto, se non nelle negazioni o nelle accezioni dispregiative. In passato le donne venivano chiamate, ad esempio, “rami secchi” perché su di loro non era attecchito l’istinto di maternità. Due documentariste sarde, Nicoletta Nesler e Marilisa Piga, hanno trovato una definizione alternativa: “lunàdigas”. Il nome viene dalla natura, dal mondo animale: i pastori chiamano cosi le pecore fertili che per motivi sconosciuti decidono di non riprodursi più “per via della luna storta”. «Lunàdigas è una parola che afferma e conferma, con autoironia, l’esistenza e l’identità di quelle donne che si sentono complete anche senza aver messo al mondo bambini, sfidando stereotipi, luoghi comuni e sensi di colpa» sottolineano insieme. Nel 2016 Nesler e Piga hanno realizzato un docufilm sul tema, che continua a girare per i festival di tutto il mondo, e dato vita a una community (lunadigas. com). Tra le testimonianze (prima della morte) c’è anche quella di Margherita Hack. L’astrofisica ha confidato che gli allievi erano i suoi veri “figli”.

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