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Musei sommersi, antichi porti e città sparite nell’acqua

Copyright: PON Cultura e Sviluppo
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Tra gli spettacoli più affascinanti, per chi s’immerge in queste acque, c’è sicuramente il ninfeo imperiale di Punta Epitaffio, considerato un luogo simbolo dell’archeologia baiana
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BAIA, Egnazia, Kaulonia, Crotone. Se le avesse disegnate Miyazaki sarebbero “città incantate”, geografie sospese tra orizzonti tangibili e imperi del sogno. Invece sono i siti selezionati dal progetto Musas, Musei di archeologia subacquea, nato per tutelare e valorizzare il patrimonio archeologico subacqueo italiano e finanziato con il contributo del Fondo europeo per lo sviluppo regionale 2014-2020, attraverso il Programma operativo nazionale cultura e sviluppo. Tra Campania, Puglia e Calabria, un ricettacolo di meraviglie: antichi regni inghiottiti dall’acqua e porti finiti in rovina, itinerari un tempo reali e oggi diventati fantastici, tra le cui strade fluttuano meduse trasparenti e banchi di castagnole nere.

Nelle giornate di sole, quando la luce è perpendicolare alla superficie dell’acqua, le riprese dall’alto registrano bene i contorni delle fondamenta della Villa dei Pisoni, grandiosa residenza romana finita circa cinque metri sotto il livello del mare a Baia, in provincia di Napoli. Un vecchio porto commerciale, oggi area marina protetta situata a nord del golfo. Qui, il parco sommerso comprende un tratto di costa sprofondato nel corso dei secoli per il periodico abbassamento del livello del suolo dovuto all’attività vulcanica. Più di 177 ettari che si estendono tra l’antico lago di Baiano, ai piedi del castello aragonese oggi sede del museo archeologico nazionale dei Campi Flegrei, e l’ex area industriale del litorale puteolano, nel cuore del vecchio porto commerciale di Puteoli.

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Tra gli spettacoli più affascinanti, per chi s’immerge in queste acque, c’è sicuramente il ninfeo imperiale di Punta Epitaffio, considerato un luogo simbolo dell’archeologia baiana, sito di particolare importanza per la stessa storia dell’archeologia subacquea. L’edificio, di forma rettangolare, introduce alla visione di un gruppo di statue, ricostruzioni degli originali che si trovano sulla terraferma. Un album di famiglia, che include i ritratti della gens giulio-claudia. E poi i mosaici. Composti da piastrelle bianche e nere, i motivi esagonali che compaiono sotto i palmi delle mani, o grazie al leggero movimento dell’acqua che spazza via detriti e sabbia. Il grande complesso termale, un tempo approdo di ozio e perdizione per la gioventù romana. E la strada basolata, rimasta quasi intatta e ben riconoscibile per un lungo tratto sul fondale.

The Project MUSAS

Oggi Baia e gli altri siti archeologici scelti dal progetto Musas come luoghi di partenza di un percorso più grande, sono tutti visitabili. Le escursioni sono affidate agli enti locali, ma è stato un gruppo di ricerca dell’Istituto centrale di restauro a ripulirli dai microorganismi che nel corso degli anni si sono annidati attorno alle loro sporgenze, a implementare tecnologie di esplorazione “avanzate” – come la prima rete wireless per lo scambio di dati in immersione – un sistema di sensori utilizzati per monitorarne le condizioni e la posizione su mappe digitali, a progettarne riproduzioni in 3d accessibili da computer e cellulari.

Copyright: PON Cultura e Sviluppo
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Vicino Fasano, in prossimità del molo di Savelletri, in provincia di Brindisi, i resti del porto romano di Egnazia e una parte dell’antica città messapica poi attraversata dalla via Traiana brillano ancora a circa sei metri di profondità. “Due lunghi moli in cementizio” spiega in un resoconto l’equipe di archeologi subacquei dell’Istituto centrale di restauro che ha coordinato i lavori “realizzati rispettando fedelmente i principi costruttivi delle opere marittime di questo genere, ben descritti nell’opera di Vitruvio e riconoscibili in numerosi siti coevi del Mediterraneo”. Le grandi “pilae” messe in opera dentro a delle casseforme, spiegano i ricercatori “costituiscono oggi un eccezionale motivo di attrazione tanto per gli studiosi interessati a una migliore conoscenza di queste tipologie di impianti, quanto per appassionati visitatori e turisti subacquei, che possono esplorare il sito per mezzo di semplici immersioni guidate”.

Al confine tra Reggio e Catanzaro, quaranta blocchi e due basi di colonne ioniche giacciono sui fondali appena sotto la punta dello stivale. Assieme a questi ancora blocchi semilavorati, bitte di ormeggio e altri resti. Il sito di Kaulonia - l’antica colonia achea corrispondente all’odierna località di Monasterace Marina, sulla costa ionica - è stato inghiottito dal mare per l’attività incessante delle due placche tettoniche sottostanti. L’interpretazione di questo sito non è semplice, e ancora si stanno conducendo studi per verificarne le ipotesi. Quello che si sa è che questa parte di costa è soggetta a importanti erosioni e subsidenza, che facilmente fanno immaginare che un tempo quei fondali dovevano essere terra emersa.

Archeologia Subacquea a Le Castella

Forse si trattava di “un’area specializzata nella lavorazione di materiali da costruzione importati via mare e scaricati in vicine banchine portuali. Le due bitte rinvenute sembrerebbero essere un buon indizio su un attracco nei pressi” spiega l’Icr, oppure “siamo di fronte al cantiere di un tempio di ordine ionico in corso di costruzione”. Numerosi reperti emersi da queste acque sono ospitati nei locali del Museo e parco archeologico nazionale di Capo Colonna, e nel Museo archeologico nazionale di Crotone.

In una frazione di Isola di Capo Rizzuto, Punta delle Castella, ancora in Calabria, in provincia di Crotone, un percorso archeologico subacqueo si estende a sud del castello aragonese, a circa 200 metri dalla costa e a 5 metri di profondità, dipanandosi nei suoi quindici punti di attrazione. Resti di una scalinata, due magazzini e vari tagli di cava e lavorazioni. Anche qui, tutto fa pensare a un pezzo di costa scomparsa nel mare. Relitti e manufatti si trovano a riposo sui fondali, tra questi, un’insolita concentrazione di cannoni in ghisa e resti metallici a circa undici metri di profondità e non distanti dalla costa. Segni di un naufragio di età moderna, su cui le indagini sono ancora aperte.

“La genesi del progetto è in verità un’evoluzione” spiega a Europa, Italia Barbara Davidde, archeologa dell’istituto che ha ideato e diretto il progetto. “Ho iniziato a lavorare a progetti finanziati da fondi europei nel 2010. Già allora si trattava di idee per la realizzazione di tecnologie per il restauro e valorizzazione del patrimonio sommerso. Da cosa nasce cosa, ogni passo che si fa apre a nuove opportunità, e persino Musas non è il punto di arrivo, sebbene si tratti di un progetto davvero interessante”.

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L’ambizione di Musas, che oltre all’Icr conta tra i suoi partner anche l’Università Sapienza di Roma e gli spin-off dell’Università della Calabria, è quella di sviluppare un modello che oltrepassi i confini regionali mantenendo costanti tecnologie e buone pratiche non solo per monitorare e valorizzare il patrimonio archeologico subacqueo, ma anche per rinnovarne la fruizione. I percorsi di visita sono infatti sia reali che virtuali, ci si può immergere nei fondali o usufruire di esperienze aumentate dal digitale.

“I fondi europei hanno finanziato Musas, e in generale offrono grandi opportunità per la ricerca, l’innovazione e la creazione di reti, in questo caso per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio subacqueo” spiega Davidde, che attualmente dirige la Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo del Ministero della cultura, e ci tiene a sottolineare la necessità di spingersi oltre i confini, per un’archeologia sommersa cosmopolita e condivisa.

“Da poco abbiamo vinto un altro bando con un progetto che si chiama Bluemed plus, il capofila è l’Università della Calabria” racconta. “L’obiettivo è quello di sperimentare le tecnologie già collaudate con Musas in nuovi siti archeologici e al contempo metterli in rete con quelli già avviati, nell’ottica di un nuovo scambio di buone pratiche. Tra i paesi coinvolti nel progetto ci sono anche Albania e Montenegro, dove andremo a individuare i luoghi più strategici per l’immersione e per la valorizzazione di quello che giace in fondo al mare”.

Altre storie e civiltà si vanno aggiungendo a una mappa che ha i confini fluidi del Mediterraneo. Grandi colonne, resti appartenuti a luoghi di culto, piccoli oggetti di uso quotidiano. Un mosaico di attimi e frammenti di vita, che il mare ha in parte rimodellato a propria immagine e somiglianza.

Il progetto è realizzato con il contributo della Commissione Europea. Dei contenuti editoriali sono ideatori e responsabili gli autori degli articoli. La Commissione non può essere ritenuta responsabile per qualsivoglia uso fatto delle informazioni e opinioni riportate.