Sara Napolitano, un’ingegnera contro le malattie rare

di Adriana Bazzi

A 29 anni lavora nel team dell’istituto Telethon di Pozzuoli: «Trattiamo le cellule come circuiti elettronici»

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Le parole chiave, da tenere a mente, per leggere questa storia sono: «biologia sintetica» e «cibergenetica». Parliamo di fantascienza? No: ci riferiamo alla ricerca scientifica più avanzata per combattere malattie rare, soprattutto genetiche, legate a difetti del Dna. Ognuna di queste (se ne conoscono almeno 7-8.000) può colpire poche persone, in particolare bambini, ma, sommate, costituiscono un problema sanitario importante: spesso sono gravi e letali, perché le terapie a disposizione sono ancora poche o non esistono.

Ecco perché c’è bisogno di tanta ricerca innovativa.

I «nuovi» termini ce li spiega la protagonista della storia, un’ingegnera, Sara Napolitano, 29 anni, che al Tigem, l’Istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli (Napoli) conduce ricerche di avanguardia, con la supervisione di Diego Di Bernardo, anche lui ingegnere.

Ingegneri che si occupano di malattie?
«Sì. Oggi la ricerca è multidisciplinare e richiede l’apporto di competenze diverse».

Lei studia, per esempio, la possibilità di modificare il comportamento delle cellule rendendole simili a circuiti elettronici. Ma ritorniamo alle definizioni scientifiche.
«La biologia sintetica è l’evoluzione dell’ingegneria genetica — spiega Sara Napolitano — . Se quest’ultima ha l’obiettivo di sostituire i geni malati (manipolando le cellule del paziente in laboratorio: alcune terapie sono già disponibili ndr), la biologia sintetica studia, al computer, le interazione fra geni per trovare nuove possibilità di cura».

E la cibergenetica?
«Ecco: mette insieme la biologia sintetica e la cibernetica (che ha a che fare con i circuiti elettronici ndr) per capire come si comportano le cellule viventi».

La cibergenetica è il focus dei lavori scientifici di Napolitano: l’ultimo, a sua firma, è stato appena pubblicato sulla rivista Nature Communication e riguarda lo studio dei lieviti, microrganismi che vengono sfruttati anche come incubatori per la produzione di farmaci.

«L’obiettivo è quello di “mettere in riga le cellule” — spiega la giovane ricercatrice laureata all’Università Federico II di Napoli, la sua città —. In altre parole: quando le cellule si moltiplicano (comprese quelle dei lieviti) non lo fanno simultaneamente, ma in fasi diverse, così cerco di “sincronizzarle” utilizzando il modello dei circuiti elettronici, quelli, per dire, che permettono di controllare la temperatura dell’acqua nello scaldabagno di casa. Che sono standardizzati».

Le cellule, a differenza delle macchine, sono «creative», ma se vengono «sincronizzate» possono offrire dei vantaggi. «Per esempio — spiega la ricercatrice — quello di poterle usare per produrre farmaci in maniera più efficace». Napolitano ha tutte le carte in regola per portare avanti queste ricerche: ha scelto la carriera Stem (acronimo per Science, Technology, Engineering and Mathematics), dove le donne sono ancora poche e non a caso ricorda la «Giornata Internazionale delle donne ingegnere» che si è celebrata proprio ieri. «Sono sempre stata appassionata di materie scientifiche — racconta —. Da piccola smontavo le penne per vedere come funzionavano, poi ho pensato di fare la pediatra, ma ho rinunciato: troppo coinvolgente sul piano emotivo. E allora ho scelto ingegneria, in campo biomedico, però!».

23 giugno 2021 (modifica il 23 giugno 2021 | 20:00)