La «bolla del Covid» e la coperta di Linus

Ci si prepara a un ritorno alla vita vera, eppure molte persone potrebbero ancora avere a che fare con gli impatti emotivi della pandemia
La «bolla del Covid» e la coperta di Linus

Questo articolo è pubblicato sul numero 24-25 di Vanity Fair in edicola fino al 22 giugno 2021

Il mondo contemporaneo è preda di una nevrosi, per ora clandestina. Per mesi siamo stati rinchiusi, davanti allo schermo di un computer, indossando pigiami e tute. Il lockdown ci ha spinto a coprirci il volto con una mascherina. Lontani dagli occhi e dal contatto di tutti. Nel momento in cui, grazie a una vaccinazione di massa, sta cadendo il confine tra il nostro appartamento e il resto del mondo, dovremmo avere la lucidità di capire che era una cacciata dall’eden: andatevene, appartatevi, il virus uccide. Uscire di casa, finalmente, può e deve voler dire la cancellazione del trauma.

L’ultimo weekend ha riportato in gran parte dei Paesi del mondo occidentale immagini festose di riunioni di famiglia e spiagge affollate, ristoranti presi d’assalto e gente in strada felice della prossima fine di un’esistenza «anormale». Aria! Aria! È tutto a posto ora? No: il ritorno alla vita «vera», sorpresa!, non piace a tutti. Uno psicologo clinico ha detto alla Cnn che molte persone potrebbero ancora avere a che fare con gli impatti emotivi della pandemia. «Dopo essere passati dall’interruzione dell’isolamento allo sforzo travolgente della vaccinazione di massa, il passaggio a una vita più normale potrebbe non essere così semplice per tutti», ha detto il dott. Jeff Gardere. «Ci eravamo trovati in una bolla molto sicura... E ora annaspiamo. Molte persone hanno paura di tornare al lavoro, riprendere il proprio posto tra i banchi di scuola, incontrare gli amici nei bar e in pizzeria e togliersi la mascherina», ha aggiunto. «La gente soffre di ansia». L’ansia di gettare la tuta e vestirsi, l’ansia di lasciare la protettiva cuccia casalinga, l’ansia di riapparire in società: per tanti vuol dire tornare sotto le forche caudine del giudizio degli altri. E soffrire.

Così per molti la «bolla del Covid» è diventata una gabbietta per essere felici e la mascherina si è trasformata in una miracolosa «coperta di Linus». Vi ricordate? Il bambino più piccolo della compagnia dei Peanuts è in grado di intrattenere il suo amico Charlie Brown con disquisizioni filosofiche, ma fatica a separarsi dalla sua copertina. Nella descrizione che ne fa Charles M. Schulz c’è proprio tutto il post-Covid: il terrore di non riuscire ad affrontare il mondo senza quello sporco e liso ma rassicurante pezzettino di stoffa, la paura dell’ignoto, il disorientamento di fronte alla sua sparizione.

Del resto, ammettiamolo, sarà capitato a tutti di sentirsi incapaci di lasciare la casa dove siamo cresciuti, di usare le sigarette come un calmante, di mollare il fidanzato storico: non sono forse anche queste copertine di Linus che devono rassicurarci sulla nostra esistenza? Che ci piaccia o meno, spesso siamo ancora tanti piccoli Linus, timorosi di fare un passo al di fuori della nostra zona di sicurezza, di preferire quindi un WhatsApp a un bicchiere di buon vino con gli amici.

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