Il nuovo vaccino contro il Covid, basato sul mix di due dosi diverse

di Sandro Modeo

Lo sta elaborando un’azienda americana, la Gritstone, punta a prevenire tutte le varianti del genoma virale, e funziona con due dosi diverse, la prima a vettore virale, la seconda a mRna

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Emeryville è una piccola cittadina californiana (12.000 abitanti) della contea di Alameda, tra Berkeley e Oakland, prossima alla baia di San Francisco. Qui — sigillato all’ingresso dal logo leggendario di Luxo junior, la lampadina di un celebre corto della casa — si trova dal 2000 il quartier generale della Pixar, dopo essersi già spostato 10 anni prima a Richmond dalla sede originaria di San Rafael, contea di Marin. Tutti conoscono il break rivoluzionario portato dalla casa d’animazione di Steve Jobs (poi acquisita dalla Disney nel 2006) in una parabola estesa, per ora, dal primo Toy Story a Soul (e ora Luca, ambientato alle Cinque Terre) passando per capolavori, tra i tanti, come Monsters & Co., Ratatouille e Inside Out.

Meno, la formidabile ricerca tecnoscientifica che l’ha resa possibile: il lavoro del geniale John Lasseter, con l’aiuto di scienziati come il fisico-informatico Ed Catmull, a livello di hardware (processori sempre più potenti) e di software (algoritmi sempre più specifici) per riuscire a convertire i modelli matematici di oggetti tridimensionali (prima cilindri e sfere, poi «lacrime» e altre forme) in figure dai movimenti sempre più fluidi e mimetici della biologia e dell’espressività umana, fino alle piegature psicologiche più intime e sottili.

Tra i 12 luoghi «reali» omaggiati nei 3D Pixar, c’è la stessa Emeryville (la mappa della città, per esempio, negli Incredibili); e non è detto che presto, tra i camei, appaia anche un’azienda la cui sede centrale è a pochi isolati dalla Pixar, la Gritstone («Arenaria»), che ha sedi anche a Pleasanton, sempre in California e a Cambridge-Massachusetts, dov’è la sede principale di Moderna, ed è ormai avviata a uscire dalla crisalide di promettente start-up del settore.

Un’azienda ascesa alle cronache tra dicembre e gennaio, quando ha annunciato l’avvio di importanti trial sperimentali su un vaccino anti-COVID «di seconda generazione», il CORAL. Un vaccino con uno scopo ambizioso: quello di prevenire/inibire (quasi) tutte le varianti del genoma virale. E ideato con una formula di cui, in questi giorni, molto si discute: due dosi profondamente diverse, la prima a «vettore virale», la seconda a mRNA.

La tecnologia di base

Fondata 30 anni dopo la Pixar, nel 2015, la Gritstone nasce all’insegna della ricerca in immunofarmacologia oncologica, come la BioNTech dei coniugi turchi Sahin a Mainz; e come la BioNTech — artefice, com’è noto, del vaccino anti-COVID a mRNA di Pfizer — accelera in itinere sui vaccini contro le malattie infettive dopo la diffusione di SARS-CoV-2 e in particolare — per ammissione del CEO Andrew Allen — dopo l’emersione della variante «sudafricana» e della possibilità che il virus evada/depotenzi i vaccini in dotazione.

Ma procediamo in successione.

Il brand bio-farmacologico di Gritstone — per certi aspetti l’equivalente del celeberrimo rendering RenderMan della Pixar — è EDGE, un’esclusiva piattaforma di machine learning, ovvero di «apprendimento automatico» («statistica computazionale»), branca dell’AI in cui algoritmi adeguatamente programmati possano costruire dai dati «appresi» delle specifiche predizioni; tra le applicazioni ormai classiche, l’individuazione di spam nel filtraggio mail o il riconoscimento di intrusi nella cybersecurity. Nel caso di EDGE, l’obiettivo algoritmico è l’identificazione delle mutazioni con la maggiore probabilità di convertirsi in neoantigeni (in futuri antigeni potenziali), in primo luogo proprio nei tumori, ma anche nell’azione degli agenti patogeni. Antigeni destinati a diventare — insieme a quelli già noti — bersaglio di farmaci (antivirali o anticorpi mono e policlonali) o di vaccini.

La logica, si deduce facilmente, è quella di uscire dal famoso schema paralizzante della Regina Rossa di Alice, evocato per la prima volta negli anni ’70 dal biologo americano Leigh Van Valen e spesso citato dai virologi evoluzionisti («Devi correre più veloce che puoi per restare nel punto in cui sei»); di «anticipare» anziché «inseguire» le mutazioni e le varianti che possono derivarne, in modo da prevenire il cambiamento di configurazioni antigeniche in grado di azzoppare/azzerare la memoria immunitaria e rendere depotenziati o inefficaci farmaci e vaccini. Depotenziati nel caso in cui possano ancora colpire dei bersagli riconosciuti; inefficaci se non ne riconoscono più nessuno.

Rispetto ai tumori, EDGE identifica le mutazioni (i potenziali neoantigeni) su milioni di datapoints da centinaia di biopsie tumorali di pazienti di varie ascendenze.

Nel caso del vaccino, la dinamica è più complessa.

Il vaccino anti-Covid «di seconda generazione»

Come abbiamo già descritto nei dettagli qui, il nostro sistema immunitario (innato e adattativo) ha diversi livelli e tempi di «risposta» all’ingresso di un patogeno nell’organismo. Nel caso in cui i filtri dell’«innato» (pelle, mucose, e così via) vengano scavalcati, l’«adattativo» attiva prima gli anticorpi; poi — nel caso in cui il patogeno riesca a colonizzare le nostre cellule, diventando «invisibile» agli anticorpi — entra in scena l’MHC, il «Complesso Maggiore di Istocompatibilità» (negli umani HLA= Human Leucocyte Antigen), pool di poche decine di geni che presiede alle nostre resistenze o vulnerabilità alle patologie.

Quando una nostra cellula sana viene «infiltrata», le proteine HLA provvedono a trasportare i frammenti dell’invasore (i peptidi) dall’interno alla superficie della cellula, per richiamare cellule specializzate nell’aggressione-distruzione (su tutti, i linfociti T citotossici). A rovescio, l’agente patogeno (ovviamente con meccanismi automatici, senza alcuna intenzionalità) cerca di evadere con ogni mezzo quelle risposte. In particolare, le varianti citate di SARS-CoV-2 sono caratterizzate in larga prevalenza da mutazioni (o delezioni) sulla proteina spike, che il virus usa per legarsi ai recettori ACE2 umani. Si tratta di recettori di un enzima di conversione dell’angiotensina, coinvolto nella regolazione della pressione sanguigna. Tutti i vaccini in uso funzionano proprio istruendo nelle nostre cellule l’espressione della spike, con la conseguente risposta anticorpale, poi «memorizzata» in previsione dell’eventuale ingresso del virus.

In questi vaccini però — riassumono CEO e responsabili di Gritstone — le risposte dei linfociti T (in particolare dei CD4 e CD8, che garantirebbero una maggiore aggressività antivirale e una memoria-immunità più duratura) sono troppo tenui.

In sintesi: i vaccini in circolazione sono finalizzati soprattutto a inibire l’ingresso del virus della cellula, meno a combatterlo anche a ingresso avvenuto.

Ora, EDGE — come s’é visto a proposito delle cellule tumorali— è una piattaforma specializzata, viceversa, proprio nell’individuare bersagli antigenici (epitopi) di cellule già invase, in particolare nel modo in cui — alterando i peptidi — molecole estranee sfuggono all’MHC-HLA, impedendo «l’esposizione dell’antigene» sulla superficie cellulare. E questo ha predisposto l’azienda a trattare «sistematicamente» SARS-CoV-2, cercando di implementare tra i bersagli antigenici non solo quelli della spike (S), ma anche quelli di diverse tra le altre 28 proteine di cui è composto il virus: le altre strutturali oltre alla spike, le non-strutturali (Nsp) e le accessorie (ORF: ne avevamo parlato nel dettaglio qui).

Per questo attacco multiplo, il CORAL verrebbe somministrato a sua volta in due dosi: la prima con vettore un virus del raffreddore attenuato (l’adenovirus dello scimpanzè), come nei vaccini di AstraZeneca, Johnson & Johnson e SputnikV; la seconda attraverso mRNA, come in quelli di Pfizer-BioNTech e Moderna.

Questo «incrocio» o sovrapposizione non è del tutto chiaro né per metodo né per timing anche nei dettagliati report del sito Gritstone (ma un brevetto è un brevetto); è probabile, però, che tale differimento vettoriale cerchi di sollecitare una riposta più in generale in prima battuta e una più specifica (e a maggior rischio di essere evasa) nella seconda.

La differenza, in ogni caso, consiste nella moltiplicazione di bersagli antigenici e neoantigenici e in una risposta più massiva sia in anticorpi neutralizzanti sia, soprattutto, in linfociti T CD4 e CD8, come detto implicati in una memoria più estesa (uno studio Nature ha mostrato in certi pazienti di SARS-1 una permanenza di memoria immunitaria di bersagli antigenici di T CD8 a 17 anni dal contagio).

Istruttivo — e inattaccabile — è il range delle partnership e dei legami attivati da Gritsone per arrivare a CORAL: i finanziamenti della Bill & Melinda Gates Foundation nella fase pre-clinica; lo stretto rapporto biomedico con uno dei massimi Istituti di Immunologia mondiali, l’LJI di La Jolla, che ha fornito a EDGE un vastissimo repertorio di antigeni (epitopi) individuati nel plasma di centinaia di pazienti di COVID-19; la sperimentazione clinica (in corso) svolta in sinergia con il National Institute for Allergy and Infectious Disease (NIAID), parte del National Insitute of Health (NIH); la collaborazione con Genevant (già partner di BioNTech e in contenzioso con Moderna nello stesso ambito) nell’impiego di adeguate nanoparticelle lipidiche (LNP) per veicolare l’mRNA auto-amplificato (SAM) della seconda dose.

Il vaccino anti HIV e oltre

Su CORAL siamo in attesa dei risultati dei trials.

E non è detto che l’esito — nonostante premesse così consistenti — sia necessariamente felice: anche gli immunofarmacologi di anticorpi mono e policlonali stanno trovando difficoltà con varianti e mutazioni specifiche che rischiano di determinare la precoce obsolescenza dei loro farmaci, tanto da ricorrere a loro volta a cocktail che moltiplichino i bersagli antigenici.

Bisogna in ogni caso augurarsi un successo: perché è vero che potremmo in teoria percorrere «l’ultimo miglio» anche senza CORAL, ma potrebbe essere un ultimo miglio molto lungo, specie per le difficoltà di produzione/distribuzione di farmaci e vaccini, e specie nei Paesi meno ricchi.

Intanto Gritstone procederà in parallelo sulla «sfida impossibile» del vaccino anti-HIV. Anche qui, la chiave sarà costituita dalla moltiplicazione delle configurazioni antigeniche da colpire (quelle offerte da Gilead) e dalla possibilità di indurre coi T CD8 risposte e memoria immunitaria più efficaci che nei tentativi passati; molto promettenti, al riguardo, i risultati ottenuti bersagliando gli epitopi diffusi del virus SIV (l’HIV delle scimmie).

È una strada coerente, del resto, con le difficoltà strutturali nella messa a punto della terapia, dovute a una densità/velocità mutazionale del virus che ha a lungo non solo inibito un possibile vaccino, ma anche disarmato terapie farmacologiche (su tutte l’AZT, un antitumorale convertito in antiretrovirale) regolarmente frustrate dalla ri-configurazione antigenica.

Almeno fino a quando, nel 1996, il ricercatore americano-taiwanese David Ho ha mostrato i risultati risolutivi proprio di un cocktail di antiretrovirali.

La parabola — agli inizi — della Gritstone induce almeno a un paio di considerazioni.

La prima è sull’inedito grado di integrazione metodologica tra la biologia (la statistica) computazionale e quella evoluzionistica. Il sofisticato machine learning di EDGE è solo uno dei tanti possibili: in un recente articolo di Science se ne descrive un altro in cui l’evoluzione virale verso mutazioni-varianti in grado di evadere il sistema immunitario segue un rapporto analogo a quello tra variazioni grammatical-sintattiche e semantica nel linguaggio umano. E altri ancora ne verranno, permettendoci di affinare sempre più le capacità previsionali sulle variazioni degli agenti patogeni e in generale sul not-self molecolare (tumori in primis).

La seconda considerazione — contigua alla prima — riguarda la ricerca verso farmaci e/o vaccini, se non universali, almeno polivalenti: CORAL (in cui epitopi di SARS-CoV-1 e 2 coesistono nel tentativo di «anticipare» anche altri «pan»-SARS-CoV) procede nella stessa direzione dei cocktail monoclonali della Prometheus di Kartik Chandran, la cui ambizione è arrivare prima o poi addirittura a un farmaco per pan-Coronavirus tout court.

E l’eminente virologo evoluzionista australiano Edward «Eddie» Holmes continua a ritenere possibile, a lungo termine, un antivirale in grado di affrontare (quasi) tutti i virus.

Sono aspetti decisivi in prospettiva di altri outbreak epidemico/pandemici. Aspetti da coltivare e potenziare in un percorso conoscitivo — direbbe il giocattolo/astronauta di Toy Story, Buzz Lightyear — «verso l’infinito e oltre».

Ma proprio l’evocazione di Buzz (dell’incanto del mondo-Pixar) ci ricorda come non si dia mai poesia senza prosa. Per stare nel perimetro di Emeryville: avremmo bisogno — soprattutto in passaggi storici angosciosi come quello attuale — di molte Pixar; ma per avere molte Pixar, serviranno molte Gritstone.

Questo articolo è stato pubblicato, in una versione più ampia e leggermente modificata, qui

BIBLIOGRAFIA
Sui vaccini e la loro storia, Michael Kinch, Between Hope and Fear. A History of Vaccines and Human Immunity, Pegasus Books, 2018.
Sul rapporto tra vaccini, immunologia e biologia evoluzionistica: Gilberto Corbellini, I migliori vaccini sono darwiniani, Scienza in Rete, 31 gennaio 2021.
Sulla Pixar: Bill Capodagli-Lynn Jackson, Innovare col metodo Pixar, Etas, 2010; Gianluca Aicardi, Pixar Inc., Tunuè, 2006.
Sulla Gritstone (oltre al sito Gritstone Oncology): Amirah AI Idrus, Gritstone adds COVID-19 to the pipeline with NIAID supported vaccine, Fierce Biotech, 19 gennaio 2021; Matthew Herper, Small biotech launches human trials of a potential “backstop” for COVID-19 vaccines, STAT, 19 gennaio 2021.
Sul «machine learning» che utilizza il rapporto tra grammatica/sintassi e semantica per comprendere l’evoluzione dei virus: Brian Hie, Ellen D. Zhong et al., Learning the language of viral evolution and escape, Science, 15 gennaio 2021.

18 giugno 2021 (modifica il 18 giugno 2021 | 21:00)