Cesare Battisti, preda con la quale gli allora ministri Alfonso Bonafede e Matteo Salvini si fecero la foto ricordo, come bracconieri con gli stivali sul leone spelacchiato, è in sciopero della fame da undici giorni e promette di andare avanti sino alla morte. Da due anni Battisti è detenuto in regime di alta sorveglianza, cioè di fatto in isolamento (ora è stato trasferito nel carcere di Rossano Calabro, nella sezione riservata ai terroristi islamici), gli è negata qualsiasi attività, gli è proibita l’ora d’aria. Da due anni, dice il suo avvocato, dovrebbe passare al regime ordinario, ma nessuno se ne occupa. Da due anni, contro la legge e contro la logica, lo Stato italiano non sembra avere per Battisti un’urgenza di giustizia bensì un’urgenza di vendetta. Nulla giustifica l’alta sorveglianza per un uomo quasi settantenne condannato all’ergastolo per omicidi commessi più di quattro decenni fa, ma invocare un trattamento giusto e dignitoso per un uomo detestato da tutti immagino sia un pochino velleitario, poiché si sa, la Costituzione comprende diritti da garantire a chiunque, ma noi preferiamo garantirli a chi ci sta simpatico. La Costituzione ci piace così, on demand. Ripenso a quante parole di sdegno – siamo o non siamo nell’era della suscettibilità? – davanti agli appelli degli intellettuali francesi, la cosiddetta gauche caviar, che si opponevano energicamente all’estradizione, e ancora oggi si oppongono all’estradizione di altri ex terroristi, perché reputano la nostra giustizia non all’altezza di uno stato di diritto. Ecco, noi eravamo sdegnati, ma loro avevano ragione.