Le parole, alcune delle parole più remote del mondo, risalgono i millenni dall’orlo di un boccale d’argento. Incise nell’antica scrittura elamita lineare, sembrano quasi pronunciate dalla figura femminile dall’ampia veste elegante sbalzata su entrambi i lati, come in un graphic novel. In realtà è una dedica, proprio alla donna ritratta, che scorre da destra a sinistra, appena sotto il bordo ribattuto, lì dove le labbra si poggiano per bere: «Per la signora di Marapssa, Shumar Ashu, in argento ho fatto questo bicchiere e in questo tempio che un giorno sarà famoso grazie al mio nome, Humshat, con devozione per te l’ho deposto».

L’oggetto, della collezione del Museo Nazionale di Teheran, viene da Marv Dasht, nella provincia iraniana del Fars, vicino a Persepoli, culla della civiltà elamita, contemporanea, confinante e parallela a quella dei più celebri Sumeri - come loro, fondatori di una delle prime società urbane della storia. Forse era un dono o un’offerta religiosa in memoria di una persona scomparsa, forse un ex voto; bicchieri metallici simili, antichi di oltre quattromila anni, i gunagi, ritrovati dalla Mesopotamia all’Ossiana, dalla Persia alla valle dell’Indo, erano probabilmente usati nel corso di banchetti funebri per un brindisi di commiato ai defunti di rango.

I caratteri che l’archeologo francese Francois Desset legge con relativa facilità, erano fino a oggi ermetici per gli studiosi. «Sono stati 16 anni di duro lavoro per decifrare la scrittura lineare elamita, ora finalmente abbiamo la chiave» spiega Desset, del Laboratoire Archeorient di Lione, con un incarico al Dipartimento di Archeologia dell’università di Teheran. Desset, attualmente visiting professor all’Università di Padova, sta per pubblicare, con i suoi collaboratori Kambiz Tabibzadeh, Matthieu Kervran e Gian-Pietro Basello, uno studio sulla decifrazione e l’evoluzione della scrittura nell’altopiano iranico che apre prospettive vertiginose sullo sviluppo delle prime civiltà umane complesse.

«Si è spesso focalizzata l’attenzione sulle due civiltà più note, gli Egizi e i Sumeri» spiega Desset, «ma ora sappiamo che non si tratta di due realtà isolate. È esistita una koiné culturale, pure con notevoli differenze, che andava dalle sponde del Mediterraneo orientale al fiume Indo. E il popolo elamita era nel mezzo, come dire, al casello: il Golfo Persico era l’autostrada del mondo antico nel terzo millennio a.C. Commerci, ma anche tecnologie e informazioni. La scrittura Proto-elamica, che precede l’Elamita lineare, risale al 3300 a.C., quindi, insieme ai primi caratteri cuneiformi sumerici, anticipa di poco i geroglifici egizi. L’Elamita lineare, in uso dal 2500 a.C. al 1900 a.C., è contemporaneo alla scrittura ancora indecifrata della civiltà di Harappa e Moenjo-Daro, probabilmente la terra di Meluhha citata nelle tavolette sumere, che aveva rapporti intensi con Elam. Anche quest’ultima è la traslitterazione moderna di una parola sumera, i primi iranici chiamavano sé stessi e la loro terra Hatamti”.

Continuiamo, per comodità, a usare i termini Elam e Elamiti: le loro scritture, la Proto-elamica e l’Elamita lineare, erano tra i grandi misteri da svelare, insieme a quella delle città nella valle dell’Indo e alla lineare A usata a Creta. Mentre con i minoici non ci sono relazioni conosciute, sigilli e oggetti elamiti sono stati ritrovati nella zona dell’Indo e viceversa. Una coalizione di iranici e indiani ha combattuto ed è stata vinta da un sovrano di Akkad, l’impero semitico che conquistò Sumer, nell’attuale Iraq, e si spinse fino in Persia. Il destino del mondo già si giocava tra Medio Oriente e Golfo Persico.

«Appunto. La notizia della vittoria ci viene da fonti accadiche e potrebbe essere pura propaganda. Sarebbe interessante trovare una fonte elamita. Lo stesso vale per il famoso Lamento per Ur, più esattamente sulla sua distruzione, opera proprio degli Elamiti. Le metafore di devastazioni contenute nelle tavolette sumere suonano incredibilmente attuali. Ma una versione elamita potrebbe riequilibrare la situazione, dopotutto erano stati invasi da Ur più di una volta. Bisogna chiarire che la lingua elamita era già in buona parte conosciuta, trascritta in cuneiforme. Ma le iscrizioni più antiche sono nei caratteri autoctoni. E questa scrittura si adatta molto meglio alla lingua parlata da quel popolo. Si tratta di un idioma isolato, come il sumero, separato dai grandi gruppi linguistici, il semitico e l’indoeuropeo».

Alcuni studiosi, tra cui l’italiano Gianfranco Forni, hanno proposto relazioni linguistiche tra l’Elamita e altre antiche lingue indoeuropee come l’Ittita. Altri hanno ipotizzato assonanze con il dravidico del Sud dell’India. Più interessanti le differenze dell’Elamita lineare con gli altri grandi sistemi di scrittura, il cuneiforme sumero e le diverse scritture egizie. «Fino a oggi si pensava che l’Elamita lineare fosse un sistema misto logografico e sillabico, come i geroglifici e la scrittura cuneiforme. Invece, come dimostrerò nel mio studio, l’Elamita lineare è completamente fonetico. Non solo. Sono certo che questo è l’evoluzione del più arcaico Proto-elamico. In pratica, lo stesso sistema. Propongo di cambiare il nome in scrittura Proto-iraniana, da dividere in tre diverse fasi. Si tratta del primo sistema di scrittura alfasillabico che si conosce».

Sarebbe sbagliato definirlo l’embrione di un alfabeto? «Sì, i sistemi alfasillabici sono fonetici, ma mescolano segni sillabici e alfabetici. Non è ancora un alfabeto. Ma si distingue nettamente dai logogrammi, che sono dello stesso tipo degli ideogrammi cinesi. È più vicino a noi, se vogliamo».

Il procedimento di Desset e dei suoi collaboratori sulle iscrizioni è stato lungo e faticoso, simile a quello seguito da Jean-François Champollion all’inizio dell’800 per i geroglifici egizi: un lento isolare i nomi dei re conosciuti e delle divinità, i loro attributi, i toponimi, distinguere i segni dalle loro varianti, confrontare sillabe nelle iscrizioni bilingue. La chiave, in buona parte, è stata trovata in una collezione londinese di gunagi, i bicchieri d’argento, nelle tavole di pietra conservate nei musei, perfino in un manufatto passato per un sito di aste online.

«A differenza dei vasti archivi di tavolette in cuneiforme, abbiamo solo 40 iscrizioni in Elamita lineare che vengono da Susa, dal Fars, nell’Iran sud-occidentale, e dalla provincia di Kerman, più a Est». Riaffiorano i nomi di antichi sovrani come il potente Puzur Inshushinak (che Desset corregge in Shushinak), e quello del dio Napirisha, umano o in forma di serpente, che presiede il pantheon elamita, accompagnate da elogi, invocazioni e maledizioni.

Accanto alle iscrizioni l’iconografia: per esempio, un re in una sorta di pigiama-palazzo à pois, i primi pantaloni registrati dalla storia. E i caratteri, non più arcani. Alcuni somigliano a piccole case, a note musicali, altri rappresentano asce bipenne; colpisce un segno a forma di pera che poi passerà nel motivo boteh dei tappeti persiani e caucasici e sugli scialli di lana in India: quello che noi chiamiamo disegno cashmere e gli inglesi paisley. Un viaggio di più di quattromila anni dai calici d’argento elamiti alle nostre cravatte.