La difesa in Corte d’Appello

Corruzione, processo Montante: botta e risposta a distanza con Don Ciotti

La deposizione in Corte d’Appello dell’ex leader di Confindustria Sicilia, condannato in primo grado a 14 anni per associazione finalizzata alla corruzione e accesso abusivo al sistema informatico

Antonello Montante (Ansa)

2' di lettura

Si conclude con un botta e risposta a distanza, e al vetriolo, con don Luigi Ciotti la seconda udienza dedicata all’interrogatorio di Antonello Montante, l’ex presidente degli industriali della Sicilia, imputato per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione. Il religioso risponde alle dichiarazioni del legale di Montante, l’avvocato Carlo Taormina, che prima di lasciare l’aula bunker del carcere di Caltanissetta dice: «Don Luigi Ciotti voleva Antonello Montante all’Agenzia dei beni confiscati. L’artefice della vicenda beni confiscati sulla base dello schema di don Luigi Ciotti è stato sicuramente l’ex ministro dell’Interno Maroni - spiega Taormina - C’era uno schema di don Ciotti sulla modalità di gestione dei beni confiscati nell’ambito dell’agricoltura che naturalmente è stato importante per la costituzione dell’agenzia, anzi Ciotti invogliò Montante a diventare componente dell’agenzia dei beni confiscati: lo vedeva come una persona adatta. Così come hanno fatto molti altri, tanto è vero che c’era una sorta di vocazione che Montante potesse diventare presidente dell’Agenzia dei beni confiscati». Ma poi, nel 2015, fu resa nota da un quotidiano l’inchiesta per mafia a carico di Montante. Secondo Taormina «non è stata una coincidenza.

Immediata la replica di don Ciotti secondo cui queste dichiarazioni sono «false e prive di qualsiasi fondamento e per questo ci si tutelerà nelle sedi competenti. Libera, fin dalla raccolta di un milione di firme per sollecitare la legge sui riutilizzo sociale dei beni confiscati, è contraria alla vendita generalizzata sul libero mercato dei beni confiscati, una posizione agli antipodi rispetto alla strategia dello stesso Montante sul ruolo e funzione dell’agenzia beni confiscati. «Inoltre - si legge in una nota Libera - ben prima che si avesse notizia dell’inchiesta sul sistema Montante, Libera aveva segnalato ufficialmente al Governo Renzi le proprie perplessità su nomina e ruolo di Montante, per motivi di opportunità, nel consiglio direttivo dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati non ottenendo, peraltro, una risposta positiva. Le dichiarazioni dell’Avvocato Taormina non si comprendono e confondono e tutto questo non aiutano la ricerca della verità», concludono Libera e don Ciotti.

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«La mia azione di legalità in Confindustria cominciò già nel 2005, nel tempo poi ci siamo costituiti parte civile in tutti i processi, a partire dall’operazione Munda Mundis di Gela nel 2007. Fu proprio grazie al mio codice etico che in Confindustria ci fu una svolta nel segno dell’antimafia». Lo ha detto Antonello Montante deponendo davanti la Corte d’appello di Caltanissetta.

Montante ha raccontato dei suoi primi passi nel mondo degli industriali quando, socio in una società di ammortizzatori, divenne presidente dei giovani imprenditori. «Nel processo scaturito dall’operazione Colpo di Grazia nel quale era imputato anche Di Francesco (imprenditore poi indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, ndr) - ha detto - fui io a fare costituire Alfonso Cicero, allora presidente dell’Irsap, come parte civile». E sempre nei confronti di Cicero, uno dei testi dell’accusa, insieme a Marco Venturi, ha sostenuto: «Quando lui cominciò a corteggiarmi io già da tempo avevo avviato la stagione della legalità».

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