12 giugno 2021 - 16:54

Nell’Italia di Mancini amici, non colleghi: così la Nazionale agli Europei ricuce il rapporto col Paese

Il ct e l’intenso rapporto con Vialli, ma anche la serenità del trio Insigne-Immobile-Belotti: gli azzurri sono uniti e affiatati sia in campo sia fuori. E per vincere è meglio l’armonia dell’invidia, sempre

di Walter Veltroni

Nell'Italia di Mancini amici, non colleghi: così la Nazionale agli Europei ricuce il rapporto col Paese
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Una squadra di calcio è, in primo luogo, una comunità di persone. Costretti dalle circostanze a convivere e a condividere un destino comune, i giocatori possono amarsi, sopportarsi, odiarsi. E lo stesso vale per il loro rapporto con l’allenatore e il suo staff. Nel caso di squadre nazionali impegnate in serrate competizioni internazionali, la convivenza totale, forzosa e esclusiva, avviene per un periodo non breve e ha come suo contenuto fondamentale il raggiungimento di un obiettivo agonistico. Dunque il clima che si stabilisce nelle lunghe ore di allenamento, nelle stanze del ritiro, nei pasti e nelle ore libere non è affatto ininfluente ai fini del risultato. Non è impossibile, ma è obiettivamente assai raro, che formazioni dilaniate dai conflitti abbiano raggiunto obiettivi importanti.

Si ricorda, per ciò che riguarda i mondiali, la divisione lacerante che accompagnò la fallimentare spedizione italiana in Germania nel 1974, segnata dal conflitto tra i giocatori di squadre del nord e del sud e dalle esplosioni di ira da parte di Chinaglia. O il fallimento dei mondiali del 1966, quando la squadra, me lo ha recentemente raccontato Ricky Albertosi che ne era il portiere, non si riconobbe più in un allenatore che non reggeva la pressione mediatica ed entrò presto in confusione. Al contrario, quando le spedizioni del 1982 e del 2006, le due vincenti del nostro tempo, si unirono contro il mondo esterno che bombardava sistematicamente il quartier generale, i risultati si videro, eccome.

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È presto per dare giudizi su questi Europei
, come ha detto saggiamente il ct Mancini: mancano tante, difficili, partite. E non è tempo per facili entusiasmi e azzardate profezie. Ma una cosa si può dire, da subito. Per ora, fin qui, questa nazionale sembra molto unita, molto affiatata. Lo ha dimostrato, in questi mesi, in dichiarazioni, interviste, in immagini trasmesse dalla trasmissione «Sogno azzurro». E, soprattutto, lo si avverte in campo, nel linguaggio dei corpi e degli sguardi. Sembrano amici, non solo colleghi. Lo sono certamente, in modo persino commovente per la lunghezza e intensità del loro rapporto, Roberto Mancini e Luca Vialli. Un’amicizia vera, il sentimento più forte e generoso che ci sia. Lo sono Chiellini e Bonucci, reduci di mille battaglie. Persino Immobile e Belotti, in conflitto per un posto da titolare. Diciamoci la verità: anche perché trasmette questa immagine di serenità, la nazionale di Mancini è riuscita a ricucire il rapporto tra il paese e i colori azzurri che aveva, con l’esclusione dai mondiali del 2018, toccato il punto più basso. Non sappiamo se questa armonia - condizione di relazione umana considerata desueta dal solipsismo livido dei nuovi media- produrrà i risultati attesi e sperati. Ma quello che so, per certo, è che una comunità riesce più difficilmente a raggiungere un obiettivo se è composta da persone che non si stimano o si odiano, o sperano nel fallimento del loro collega di turno. E questo vale non solo nel calcio. Vale in ogni sport di squadra, in un’azienda, in un gruppo musicale e, anche, in un partito politico. Per vincere, l’armonia è da preferire al rancore sordo o all’invidia, sempre.

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