7 giugno 2021 - 21:40

Madior Fall che interpreta Inno nella serie «Zero» su Netflix: «Nelle vene ho il sangue di Paolo VI»

Il modello: «Ho iniziato per caso posando per Versace, Armani, Dolce & Gabbana. C’è chi mi urla di tornare al mio Paese. Non fumo, non bevo alcolici, non ho tatuaggi»

di Stefano Lorenzetto

Madior Fall che interpreta Inno nella serie «Zero» su Netflix: «Nelle vene ho il sangue di Paolo VI» Madior Fall
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Ha nelle vene il sangue di un Papa proclamato santo. Madior Fall è un fotomodello afroitaliano che ha posato e sfilato per Versace, Armani, Dolce & Gabbana, Ermenegildo Zegna e Zalando, prima di diventare un protagonista della serie tv «Zero» su Netflix. Farà 22 anni il 29 giugno, nel giorno in cui si festeggiano i santi Pietro e Paolo, e si dice «molto onorato» di appartenere alla cerchia familiare di Paolo VI. È battezzato, ma non cresimato. Non mette piede in chiesa dall’età di 1o anni. L’ultima a portarcelo fu sua nonna Francesca Montini, morta nel 2019, figlia di Lodovico, deputato e poi senatore democristiano che fece parte dell’Assemblea Costituente, fratello maggiore del Papa bresciano.

«L’uomo della terra rossa»

Madior è un nome senegalese. Significa «L’uomo della terra rossa». Ma Fall ha anche un secondo nome, italiano: Giorgio. Si chiamava così il padre avvocato del futuro pontefice. Nell’albero genealogico del giovane attore figura pure un bisnonno, Giovanni Maria Longinotti, che di Giorgio Montini fu allievo e amico, al punto da tenerne l’elogio funebre. Fondatore del Partito popolare al fianco di don Luigi Sturzo, deputato aventiniano dichiarato decaduto dal fascismo, in stretti rapporti con Pio XI e il segretario di Stato vaticano Pietro Gasparri, Longinotti fu travolto e ucciso da un camion militare tedesco il 13 maggio 1944 a Ronciglione. Aveva aiutato don Sturzo e Alcide De Gasperi a costituire la Dc in clandestinità. «Mia madre si chiama Paola Longinotti. Era restauratrice di affreschi. Ha smesso per dedicarsi a me e ai miei fratelli minori, Filippo, 18 anni, e Alioune, 16. Abbiamo anche un fratellastro più piccolo, Miron, 6, che abita con papà».

Dove vivete?
«A Milano. Noi tre stiamo con mamma. I nostri genitori si sono separati. Mio padre Macodou è figlio di un diplomatico del Senegal che lavorava nell’ambasciata di Roma. Quando il nonno rientrò in patria, lo lasciò nella Capitale per farlo studiare al liceo Chateaubriand. Era in classe con Alberto Angela».

E lei che scuola ha frequentato?
«Essendo nato a Parigi, lo Stendhal, liceo francese di Milano. Ora sono iscritto al Politecnico. Dovrei laurearmi in ingegneria gestionale nel 2022».

Dove si sono conosciuti i suoi?
«Nella Capitale. Papà è un fenomeno mai visto prima: un senegalese che parla romanesco meglio dei romani».

Le ha spianato la strada da modello?
«No. Ero in metro, linea Lotto-Piola, diretto al Politecnico. Una trentenne mi ferma mentre sto per scendere: “Vuoi fare l’indossatore?”. Mi allunga un biglietto da visita. Il giorno dopo vado. Un provino ed ero già dentro. La vita è strana. Una settimana prima ero stato in un’agenzia fotografica per lo stesso motivo, “così guadagni qualcosa”, mi aveva consigliato mia madre. Fui respinto: “Sei fotogenico, ma troppo basso”».

Troppo basso? Non si direbbe.
«Allora ero 1,83. Oggi misuro 1,86».

Appunto. E quanto pesa?
«Settantacinque chili. Sto molto attento a quello che mangio. Unici strappi, qualche puntata da McDonald’s e la carbonara della mamma, imperdibile».

Ahi ahi.
«Non fumo e non bevo alcolici. Se tratti bene il corpo, il cervello si allinea. Non ho tatuaggi. Non voglio sporcarmi. Mi alleno nei parchi Sempione e Trenno. Ho giocato a basket fino all’anno scorso».

Come si chiama la sua acconciatura?
«Dreadlocks. Tutti credono che l’abbia inventata Bob Marley, invece risale a due millenni prima di Cristo. Cominciai per sbaglio intorno ai 17 anni, quasi un tic nervoso: mi arrotolavo i capelli in classe. Ora saranno 100 treccine, all’incirca».

La bellezza è una fortuna o una fatica?
«Sono un semplice studente. La bellezza sfiorisce presto. La gente non sa che ho progetti per il dopo. Mi sto interessando alla produzione musicale, per esempio. E mi piace il trading online».

Investe in Borsa attraverso Internet?
«Sì, una parte dei miei guadagni».

Quindi ama il gioco d’azzardo.
«No, è una tecnica. La studio da un anno. Mi diverte. E non ho mai perso. In futuro vorrei costruire qualcosa di mio».

Cioè non prendere ordini da nessuno.
«Esatto. Essere il boss di me stesso».

Il suo lavoro è ben remunerato?
«Per shooting e sfilate dai 600 ai 5.000 euro. Netflix paga di più, ma ti fa lavorare di meno».

Conosce di persona gli stilisti?
«Ho parlato a lungo con Domenico Dolce, molto simpatico e alla mano. Nel 2018, durante il défilé di Emporio Armani nell’hangar di Linate, mi sono trovato davanti un uomo fascinoso, che lavorava attorniato da un nugolo di persone. In un istante ho realizzato: wow, ma questo signore è Giorgio Armani!».

Vestirsi alla moda è importante?
«Sì, a patto di non seguirla. Amo abbigliarmi a modo mio. Si chiama stile».

I suoi assecondano questo lavoro?
«Non mi ostacolano. Però mi spronano a studiare. Sono d’accordo con loro».

Com’è stato reclutato da Netflix?
«Mi hanno visto nel profilo Instagram di una mia amica di Roma che lavora in un’agenzia del cinema. Ho mandato un video di presentazione in cui raccontavo la mia storia. L’ho girato da solo, appoggiando l’iPhone al muro. Poi mi è arrivato un copione. Ho imparato una scena a memoria e ho sostenuto due provini».

Di che parla «Zero»?
«È la storia di un afroitaliano di seconda generazione, Zero, dotato del superpotere dell’invisibilità. Vuole salvare dalla speculazione il Barrio, quartiere immaginario di Milano. L’abbiamo girato alla Barona. Io interpreto Innocent, detto Inno, che non riesce a ottenere la cittadinanza pur essendo nato in Italia».

Uno spot per lo ius soli, in pratica.
«Mi sono identificato con il mio amico Mahari, etiope nato ad Addis Abeba. Fa il parrucchiere, è bravissimo. Quando va a chiedere la carta d’identità italiana, deve portare le certificazioni dei redditi del triennio precedente e ogni volta s’inventano nuovi documenti. Eppure è richiedente asilo da una decina d’anni».

«Zero» ha cambiato la sua vita?
«Sì. Mi stanno vedendo in 192 Paesi. Ricevo messaggi dal Brasile all’Australia. Scrivono: “Ti amo alla follia”. Allegano foto. Io rispondo ma tengo le distanze».

Che genere di foto?
«Di tutto, di tutto... Non si può dire. Richieste da ragazze ma anche ragazzi. Solo due o tre mi hanno spedito mail del tipo “coione, impara a recitare”. Ci sta».

I suoi coetanei sono felici o infelici?
«Per lo più infelici. Studiano per far contenti i loro genitori nonostante abbiano menti creative. Potrebbero essere pittori, musicisti, sportivi straordinari».

Che cosa sta a cuore ai giovani d’oggi?
«L’immagine sui social. La pagina Instagram e il numero di follower. Un po’ triste. Manca l’interazione umana».

La colpa è di noi adulti?
«Ci avete lasciato in eredità un mondo difficile. Almeno fateci un po’ di spazio».

Ha mai fumato uno spinello?
«Ci ho provato, ma non fa per me».

Gira molta cocaina nel suo ambiente?
«Sì, soprattutto nei salotti della moda. Alle feste trovo vassoietti con rimasugli di polvere bianca. Fin da bambino mi sono allenato a mantenere il controllo. Non dimentico mai di essere un italiano con la pelle scura. Se succede qualcosa di brutto, se la prendono subito con me».

Mi sta dicendo che i suoi connazionali sono razzisti?
«No, anche se una volta al mese trovo quello che mi urla: “Torna al tuo paese, negro di m...”. Però m’indigno di più quando pensano che sia uscito dalla foresta: “Tu capire mia lingua?”. Appena rispondo, mi chiedono: “Dove hai imparato a parlare così bene l’italiano?”».

E in questi casi come reagisce?
«Applico la lezione di mio padre: “Ignora gli ignoranti, sii superiore”. E lo sono davvero, perché solo persone inferiori possono trattare il prossimo così».

È fidanzato?
«Lo sono stato per tre anni. Ma poi la pandemia... Lei abitava a Roma».

Sogna di mettere su famiglia?
«In futuro mi vedo con tre figli. Però non voglio sposarmi. Il matrimonio è un contratto che non serve, se c’è l’amore».

Torna spesso in Senegal?
«Ci sono andato solo una volta, a 14 anni, a trovare nonna Nafi e gli zii. Chiamavo nonna anche la signora Marcella di Roma, cui venne affidato mio padre quando i suoi tornarono in Africa».

E di Francesca Montini, sua nonna materna, che ricordo ha?
«Molto bello. Da piccolo mi portava a messa. Lei spiegava con la religione tutto ciò che per me invece è scienza».

Non è stato Dio a creare l’uomo?
«No. L’uomo è solo una forma ordinata di materia. Oddio, non so se questo sia un miracolo o qualcosa di comune».

«Oddio», bel paradosso riferito a Dio.
«Non credo alla Genesi. Devo gestire da solo gli aspetti brutti della vita. Non posso appellarmi a san Paolo VI».

Partecipò al rito di canonizzazione?
«Sì, con i miei fratelli. Tre ragazzini mulatti in prima fila nella piazza San Pietro. C’era anche mia madre, che aveva 12 anni quando papa Montini morì».

Suo padre non era presente?
«No, è ateo, di famiglia musulmana».

È sicuro di fare la fine dei lombrichi?
(Sorride).
«Sì. La mia energia tornerà a far parte del tutto».

Se papa Francesco la ricevesse in udienza, che cosa gli direbbe?
«Lo ringrazierei, perché aiuta le persone che hanno bisogno di credere, che trovano nella fede il cardine della loro vita. Ma gli chiederei anche: Santità, è sicuro di essere il vicario di Cristo sulla terra? Com’è possibile, se l’hanno eletta i cardinali? Al massimo, lei per me è il presidente del cattolicesimo».

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