4 giugno 2021 - 23:07

La mossa ambiziosa di Salvini
per arginare Meloni (con troppe incognite)

Restano da sciogliere molti nodi a livello territoriale e sulla appartenenza europea

di Francesco Verderami

La mossa ambiziosa di Salvini per arginare Meloni (con troppe incognite)
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Un predellino c’è già stato e si sa come andò a finire. Ora Salvini ci riprova, ma senza il carisma che aveva Berlusconi e scontando il rischio di veder dividere quel campo che il leader della Lega vorrebbe unire. Ed è lì che lo attende Meloni.

Nell’idea del capo del Carroccio la federazione dei gruppi di centrodestra al governo nascerebbe con la prospettiva di costituire un cartello di forze che dovrebbe poi presentarsi sotto uno stesso simbolo alle urne. Ed è scontato interpretare questa mossa come un espediente per evitare il sorpasso di Fratelli d’Italia, che le proiezioni nei sondaggi mettono nel conto. Si vedrà se il Cavaliere passerà dalle parole ai fatti, se formalizzerà la fusione parlamentare di Forza Italia con la Lega e se davvero l’accordo tra i due alleati è legato all’imminente corsa al Colle, dove Berlusconi sogna di arrivare.

Ma il tema è un altro: l’ambiziosa operazione di Salvini si porta appresso l’incognita dell’approssimazione, appare infatti troppo veloce, poco preparata a livello nazionale e territoriale, con molti processi politici rimasti in sospeso e alcune contraddizioni da superare. È vero che il segretario leghista è costretto dagli eventi ad accelerare i tempi, perché se l’orizzonte del governo è la conclusione naturale della legislatura, se — come lui stesso ha detto — «noi sosterremo Draghi fino al 2023», allora deve attrezzarsi a una faticosa maratona.

E i partiti attuali, tutti i partiti, anche quelli di centrosinistra, non hanno oggi il fiato e il passo per reggere così un altro anno e mezzo. Dovranno rigenerarsi, in alcuni casi reinventarsi, senza sapere se ci riusciranno. Ma la rifondazione del sistema politico si presenta come un passaggio ineludibile e la tentazione della scorciatoia è pericolosa, perché in quel caso la strada imboccata potrebbe rivelarsi un vicolo cieco. Infatti a rischiare è Salvini più di Berlusconi: la crisi in cui versa da tempo Forza Italia — attraversata da una faglia interna che divide le sorti dei parlamentari ma anche degli esponenti di governo — può consentire al Cavaliere di fare chiarezza rispetto a certe ambiguità.

Il capo della Lega invece deve rispondere a un partito che ha l’ambizione di guidare in futuro il Paese e che però si trova ingaggiata in una competizione con Fratelli d’Italia. Nei cento giorni di gabinetto Draghi, Salvini ha impersonato ruoli diversi: a volte ponendosi in contrasto con la linea del premier, altre mostrandosi coerente con l’impegno preso all’atto della fiducia. Mentre Meloni ha costruito la sua azione presentandosi come «partito di governo che sta all’opposizione», al punto da ottenere il ruolo di interlocutore di Palazzo Chigi. Così ha aumentato i consensi virtuali nei sondaggi. E ora che Salvini le lancia un’altra sfida, la leader di FdI risponde mirando al punto debole del progetto costruito dall’alleato-avversario: «Non credo alle fusioni a freddo».

Evocando il predellino, Meloni non ha solo ricordato il fallimento del Pdl, ha sollevato anche — senza citarlo — il problema che l’ex ministro dell’Interno dovrà presto risolvere: la collocazione europea del rassemblement. Forza Italia e Udc appartengono alla famiglia dei Popolari, mentre il Carroccio è ancora formalmente legato ai francesi del Front national e ai tedeschi di Afd. Ed è evidente lo sforzo del segretario leghista di uscire da quell’angolo e di «spostarsi verso il centro anche in Europa», come dice il diccì Cesa, che dà credito al disegno di Salvini e ricorda come «per molti anni a Strasburgo la denominazione del gruppo fu Ppe-De, perché federava anche i conservatori».

A Roma la federazione del centrodestra di governo non è ancora nata e già si enumerano i nodi da sciogliere. Perciò quello di Salvini più che un rilancio è un autentico all-in. In Parlamento, per tenere uniti i gruppi, andrà trovato un compromesso che vada oltre la scelta dei loro presidenti alla Camera e al Senato. Sul territorio, per evitare emorragie, bisognerà coinvolgere pezzi di classe dirigente che fino ad oggi si contendevano i consensi. In Europa, per non risultare irrilevanti, sarà necessaria una scelta di campo che non contempli posizioni ambigue. In Italia, per avere un ruolo, andrà stabilito come indirizzare la forza numerica della federazione nel processo di riforme che il governo sta varando. Tanto basta, prima di dover pensare a un simbolo elettorale che non sarebbe più quello della Lega nè quello di Forza Italia. Ecco l’incrocio a cui attende Meloni. Ma Salvini non ha altre strade se in futuro vuole «rientrare a Palazzo Chigi dalla porta principale».

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