30 maggio 2021 - 07:09

Mottarone, l’interrogatorio di Tadini: «Col forchettone ho fatto un errore. Ma era la volontà dell’azienda»

La testimonianza del capo servizio delle Ferrovie del Mottarone. «L’obiettivo non era di far funzionare l’impianto comunque, ma di evitare arresti intempestivi lungo la linea»

di Giuseppe Guastella

Mottarone, l'interrogatorio di Tadini: «Col forchettone ho fatto un errore. Ma era la volontà dell'azienda» (Ansa)
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«Sono consapevole dell’errore che ho commesso lasciando i forchettoni», ma «questa era la volontà della società», mette a verbale alle 23.45 di martedì il capo servizio delle Ferrovie del Mottarone Gabriele Tadini davanti al procuratore Olimpia Bossi, che due ore dopo lo sottoporrà a fermo con il titolare della società, Luigi Nerini, e il direttore d’esercizio, Enrico Perocchio, per il disastro della funivia che è costato la vita di 14 persone e il ferimento di un bimbo di 6 anni. Tadini nella notte di sabato torna quindi a casa agli arresti domiciliari, mentre gli altri due indagati tornano in libertà su decisione del gip di Verbania.

Tadini: «Dio mi giudicherà»

Ha passaggi sofferti il verbale dell’interrogatorio che con le sue conseguenze, come ha fatto prima l’incidente, ha cambiato per sempre la vita di Tadini, che a 63 anni si avviava verso la pensione dopo 36 anni di servizio. «Dio mi giudicherà», dirà Tadini all’avvocato Marcello Perillo che ha preso il posto del difensore d’ufficio che aveva partecipato all’interrogatorio. «Mai e poi mai avrei pensato che la fune traente avrebbe potuto spezzarsi», ripete al procuratore Bossi e al capitano della compagnia dei carabinieri di Verbania Luca Geminale che lo incalzano con le domande.

«Ho evitato di togliere il “forchettone”».

La rottura della traente, infatti, è un caso più unico che raro ma, se si verifica, le cabine sono provviste di freni d’emergenza che le bloccano impedendo che, libere, prendano folle velocità sulla fune portante e precipitino, come è accaduto. Quel tragico mattino, però, i freni erano bloccati e non potevano agire. Tadini racconta la giornata cominciata mentre sul lago Maggiore splendeva il sole e i primi turisti già erano pronti a salire in vetta. «Come di solito ho aperto la stazione, ho verificato che tutto fosse in ordine» e «ho avviato intorno alle 9-9.10 una corsa di prova, che consiste nel fare una corsa completa a bassa velocità, per verificare che in linea sia tutto a posto». Nella cabina che tre ore dopo cadrà emerge però subito qualche problema alla centralina dell’impianto frenante che fa un rumore «dovuto presumibilmente alla perdita di pressione del sistema frenante» che «chiudeva una delle due ganasce». «Cosa fece lei?», chiedono gli inquirenti: «Se l’impianto di sicurezza rileva un’anomalia, la funivia non parte (…). Per impedire questo problema, e far entrare in funzione la cabinovia, ho evitato di togliere il “forchettone”». In un primo tempo, Tadini afferma che è stata una scelta solo sua («non ho avvisato nessuno, né Nerini né Perocchio»), poi, quando la sua posizione inizia a trasformarsi da testimone in indagato, riferisce di aver «sempre informato il signor Nerini Luigi dei problemi e della necessità di far intervenire i tecnici, cosa su cui lui ha concordato dicendo di farli contattare dall’ ingegner Perocchio».

L’obiettivo: «evitare arresti intempestivi lungo la linea»

Aggiunge che l’obiettivo non era di far funzionare l’impianto comunque, ma di «evitare arresti intempestivi lungo la linea» che avrebbero costretto a trasbordare i passeggeri dalla cabina a un cestello di soccorso per farli tornare alla stazione. Quelle anomalie si verificavano da molto tempo, addirittura dal periodo di chiusura per il Covid, iniziato a ottobre 2020, durante il quale l’impianto aveva marciato quasi tutti i giorni. «Il sistema continuava ad entrare in pressione (…) ripetutamente e questo poteva causare problemi alle batterie scaricandole e deteriorandole, tanto è vero che le avevo già sostituite una volta durante l’inverno». Si rivolse allora al titolare delle Ferrovie Nerini che gli disse di contattare Perocchio il quale mandò i tecnici, l’ultima volta il 3 maggio, senza che si trovasse una soluzione. «Negli ultimi giorni il problema era diventato però molto frequente (ogni 2-3 minuti, ndr) e in attesa dell’intervento dei tecnici ho deciso di inserire i cosiddetti “forchettoni”», dichiara in un primo momento Tadini. Quindi ci ripensa e aggiunge di averlo fatto anche il 21 maggio, cioè il giorno prima dell’incidente, e poi aggiunge «più volte in questo ultimo mese». Li installavano 3/4 operai della sua squadra. «Ne ho parlato con Perocchio al quale ho detto che per poter mantenere in funzione l’impianto regolarmente sarei stato costretto a usare tale accorgimento — afferma —. Bisognava fare così per far funzionare l’impianto. Questa era la volontà della società, perché di fatto né l’ingegner Perocchio né Nerini, pur sapendo dei problemi e pur avendone le competenze e i poteri, non hanno mai ritenuto di bloccare l’impianto».

È questa dichiarazione a mettere tutti nei guai, anche perché per i pm la ragione del mancato fermo era di evitare di perdere gli incassi. Ciò di cui Tadini non riesce a capacitarsi è la rottura della fune traente. «Mai e poi mai avrei pensato che avrebbe potuto spezzarsi», «non me lo spiego, è un qualcosa che non doveva accadere. Secondo gli ultimi controlli (novembre 2020, ndr) era in perfette condizioni e non ha mai avuto problemi lungo la linea». Dopo l’incidente, non è tornato in funivia «per evitare che si pensasse a un mio intervento di alterazione».

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