L'Atlante della biodiversità

I pascoli coprono il 54% della superficie terrestre globale e l'1% delle aree protette globali sono aree chiave di Biodiversità. Secondo le simulazioni sul cambiamento climatico, la maggior parte dei pascoli sarà colpita da questo cambiamento mettendo a rischio non solo le aree chiave di Biodiversità, ma anche gli animali che vivono in queste zone
L'Atlante della biodiversità

Fra gli elementi che contraddistinguono un territorio e gli danno un'impronta particolare, a volte unica, oltre a quelli di carattere storico, culturale e architettonico, un ruolo determinante è giocato dall**’aspetto paesaggistico complessivo**, che quasi sempre è il risultato e l’espressione delle interconnessioni e delle influenze esercitate per secoli dagli uomini che lo hanno abitato e che, per riflesso, a sua volta ha inciso sullo sviluppo dei loro costumi, delle loro tradizioni culturale e del loro modo di approcciarsi e di adattarsi al mondo.

Prati, pascoli, vette innevate, ampie distese verdi, boschi fitti e con una grande varietà d'alberi, campagne ordinate e ben coltivate, fiumi ben irreggimentati ispirano senso di armonia all’occhio che li osserva e rappresentano il segno evidente dell’equilibrio tra le attività umane e il territorio e della continuità delle tradizioni agricole e pastorali tramandate di generazione in generazione.

Purtroppo, molti territori del pianeta non offrono un’immagine così idilliaca e sono lontani da una condizione di equilibrio ambientale, sia per la mancanza di adeguate politiche di salvaguardia del territorio (fattore di natura endogena) sia a causa dei sempre più preoccupanti cambiamenti climatici (fattore di natura esogena) al cui determinarsi ha contribuito, fra l’altro, l’applicazione dei metodi intensivi, metodi molto dannosi nelle pratiche agricole e nell’allevamento del bestiame perché non rispettano i cicli produttivi naturali.

In particolare, con riferimento agli allevamenti intensivi del bestiame, un recente studio della FAO, infatti, attribuisce ad essi circa il 14,5% delle emissioni di gas serra, collocando l’allevamento, insieme all’innalzamento delle temperature, tra le cause primarie del degrado degli equilibri del suolo e dell’aumento a livello mondiale dell’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera, e il cui accumulo rappresenta la causa principale dei cambiamenti climatici in atto. Ma, fortunatamente, oltre agli allevamenti intensivi, ci sono milioni di persone nel mondo che vivono di pastorizia seguendo metodi tradizionali basati sul rispetto ambientale, antitetici quindi quelli intensivi,con ricadute benefiche sia sull’ambiente, sia alle economie locali. I pascoli coprono il 54% della superficie terrestre per un totale di più di 79 milioni di chilometri quadrati e comprendono diversi biomi, cioè ampie porzioni di biosfera con clima, vegetazione e fauna caratteristici: dal deserto alle praterie, dalla savana alla macchia mediterranea, alle zone forestali e alpine. I biomi si contraddistinguono l’uno dall’altro per i gruppi di vegetazione e di fauna che si sono adattati alle specifiche condizioni di vita dell’ambiente in cui sono nati: latitudine, altitudine, clima. All’interno di queste aree, l’allevamento svolge un ruolo cruciale, interessandone l’84% del territorio globale, pari al 45% della superficie terrestre. Le zone protette all’interno dei pascoli ricoprono il 7% della superficie terrestre mentre l’1% è riconosciuto come area chiave per la biodiversità. Inoltre, sempre secondo la FAO, le specie foraggere costituiscono la principale risorsa economica di sostentamento per più di 500 milioni di persone.

Le comunità pastorali sono, nella maggior parte dei casi, costituite da popolazioni locali a basso reddito che vivono in ambienti più sostenibili rispetto a quelli dei moderni allevamenti intensivi. Questi eco-sistemi sono cruciali per il raggiungimento della sicurezza alimentare e delle risorse idriche e contribuiscono non solo allo sviluppo di economie nazionali resilienti ma anche al miglioramento delle condizioni ambientali legate alla biodiversità ed alla protezione del suolo. Proprio oggi, 26 maggio, verrà presentato da ILRI (International Livestock Research Institute), IUCN (International Union for Conservation of Nature), FAO (Food and Agriculture Organisation), WWF (World Wide Fund for Nature), UNEP (United Nations Environment Programme) e ILC (Global Rangelands Initiative of the International Land Coalition) l’Atlante dei pascoli (The Rangelands Atlas), una pubblicazione volta a fornire informazioni cruciali per la sopravvivenza dei pascoli e a stimolare una maggiore consapevolezza sull’enorme valore ambientale, economico e sociale di queste terre e degli ecosistemi che al loro interno si sviluppano.

Lanciato quasi in contemporanea con il Decennio per il ripristino degli ecosistemi delle Nazioni Unite (UN Decade of Ecosystem Restoration), l’atlante avrà lo scopo di mettere in evidenza l’impatto dei cambiamenti climatici e delle attività umane sui pascoli a livello globale, in termini di perdita della biodiversità e degli effetti sulle attività tradizionali, e di sottolineare la necessità impellente di intraprendere azioni di sviluppo e di salvaguardia di sistemi sostenibili. Nonostante i pascoli ricoprano più della metà della superficie terrestre del pianeta, ospitino una fauna ricca e diversificata, influiscano sugli equilibri idrici dei fiumi e dei terreni acquitrinosi e permettano il sostentamento di diversi milioni di esseri umani, essi sono stati trascurati nelle agende politiche nazionali ed internazionali. Infatti, solo il 10% dei piani nazionali per il clima (parte dell’accordo di Parigi) fanno espresso riferimento ai pascoli, contro il 70% volti alla conservazione e protezione delle foreste. Questa attenzione quasi esclusiva nei confronti delle foreste ha generato una perdita di interesse nei confronti della conservazione dei pascoli. Oggi, un’area vasta quanto gli USA è già andata persa; un’altra, vasta quanto l’Australia, un tempo ricca di vegetazione spontanea e fauna, oggi, viene utilizzata esclusivamente per le coltivazioni ed infine una zona pari a circa il doppio della superficie europea si trova in una condizione molto critica a causa degli effetti dei cambiamenti climatici. Tutto ciò, in assenza, soprattutto, di efficaci interventi per una significativa riduzione di emissione di gas serra, determinerà un inevitabile declino nella disponibilità di risorse naturali e cibo. L’Atlante, consultabile anche sul web, sarà composto da cartine geografiche accompagnate da una descrizione dei principali dati e da casi studio che ricostruiscono 7 tra i 14 biomi categorizzati dal WWF nella sua mappatura delle eco-regioni terrestri e costituisce un primo punto di partenza per identificare, documentare e sensibilizzare sulle principali caratteristiche dei pascoli e sulla loro importanza nell’allevamento del bestiame, sulla produzione di cibo e sulla conservazione degli ecosistemi ad essi collegati. L’atlante pone l’accento sulla mancanza di dati significativi sul tema e sottolinea la continua riduzione in termini di investimenti a confronto con altre tipologie di territorio. Il sito web, inoltre, sarà aggiornato con nuove mappe/casi studio ogni 2/3 mesi e vuole avere l’ambizione di diventare la più grande piattaforma sul tema.

Secondo IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), infatti, le risorse pastorali sono ecosistemi estremamente sensibili ai cambiamenti climatici e vanno tenute, quindi, sotto costante monitoraggio al fine di favorirne una gestione sostenibile volta alla loro conservazione. Anche l’Italia, che insieme ad Austria e Grecia è uno dei paesi promotori del riconoscimento e della valorizzazione della tradizione della transumanza come Eredità Culturale Intangibile Patrimonio dell’UNESCO, sarà rappresentata nell’Atlante, con un caso studio dedicato alle Alpi, una delle aree più vulnerabili nell’intera Europa. Nel corso dello scorso secolo, infatti, il riscaldamento globale, con il consequenziale preoccupante aumento delle temperature, ha causato non solo la riduzione dei ghiacciai alpini ma anche cambiamenti sostanziali negli schemi delle precipitazioni di pioggia e neve che hanno provocato un’alterazione del corso delle stagioni invernali. Di recente, come coordinatore della comunicazione dell’Atlante, sono andato in Trentino Alto Adige, insieme al team di produzione, per avere un contatto diretto con gli allevatori di un territorio che ospita pascoli dedicati all’allevamento della razze bovine Bruna Italiana e Bruna Alpina, due specie che si sono ben adattate ai pascoli montani, insieme a pecore e capre. Gli allevatori qui praticano da circa 600 anni la transumanza e fanno spostare le greggi ad oltre 3000 metri di altitudine durante i periodi estivi, seguendo una rotta usata da oltre 10.000 anni, l’unica al mondo transnazionale e trans glaciale e già protetta dall’UNESCO come Eredità Culturale Intangibile. Ogni anno, perpetuando questa antica tradizione, tra le 3000 e le 4000 pecore migrano da Vernago a Maso Corto percorrendo di circa 40 km e , attraverso passi montani ricoperti di neve, raggiungono i fertili pascoli di Vert, in Austria, situati a 3200 metri di altitudine. Le zone di allevamento sono gestite secondo diritti di sfruttamento comuni chiamati usi civici o proprietà collettiva dei boschi e dei pascoli. Questa istituzione comunitaria rurale, considerata una delle strutture portanti della società altoatesina, prevede in ogni villaggio la presenza di un comitato chiamato a regolare l’uso dei pascoli e dirimere eventuali conflitti legati allo sfruttamento del territorio. Tale gestione collettiva, che vede i singoli elementi di una comunità operare verso un fine unico in modo sinergico, ha permesso di conciliare le necessità economiche e produttive con l‘esigenza della conservazione delle risorse materiali e paesaggistiche e della tutela degli eco sistemi semi naturali. Inoltre, l’amministrazione collettiva delle risorse strategiche da parte delle comunità montane del Trentino-Alto Adige ha permesso di generare dei benefici indiretti di grande valore come la salvaguardia della biodiversità e del paesaggio tradizionale, fattori che influiscono positivamente anche sull’attrazione di flussi turistici nella regione. Le comunità montane dell’Alto-Adige sono solo una delle più valide testimonianze dell’attuazione di adeguate politiche sostenibili e rispettose delle tradizioni e del paesaggio nei territori posti sotto il loro controllo. Più in generale, le condizioni e la produttività dei pascoli mondiali sono spesso lontane dagli standard del Trentino-Alto Adige e rappresentano un elemento critico per la sostenibilità dell’intero pianeta non solo per le popolazioni che da questi pascoli dipendono direttamente ma anche per tutti coloro che indirettamente traggono benefici dalla biodiversità diffusa nella produzione agricola e nella pastorizia: operatori economici, turisti consumatori di prodotti agricoli e caseari. In vista del lancio del Decennio del ripristino degli ecosistemi da parte delle Nazioni Unite (UN Decade of Ecosystem Restoration), il prossimo 4-5 giugno, è necessario intensificare la nostra attenzione e il nostro impegno per la protezione e il ripristino dei pascoli, per garantire la sopravvivenza di milioni di specie vegetali e faunistiche e migliori condizioni di vita delle popolazioni direttamente interessate.

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