18 maggio 2021 - 08:38

Franco Battiato: la malattia, la musica e l’eterno enigma di un maestro senza confini

La prematura scomparsa del padre, la devozione per la madre, la musica colta, le incursioni nel pop, la capacità di parlare al cuore del pubblico. E poi gli anni della lunga malattia, nel castello di Milo

di Mario Luzzatto Fegiz

Franco Battiato: la malattia, la musica e l'eterno enigma di un maestro senza confini
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«Il silenzio del rumore / Delle valvole a pressione / I cilindri del calore / Serbatoi di produzione / Anche il tuo spazio è su misura / Non hai forza per tentare / Di cambiare il tuo avvenire / Per paura di scoprire / Libertà che non vuoi avere / Ti sei mai chiesto / Quale funzione hai?».

Così cantava Franco Battiato nello spettacolo «Pollution» (1972) ancor oggi un classico dello sperimentalismo musicale. È morto oggi — come ha reso noto la famiglia — dopo lunga malattia nella sua casa che era l’ex castello della famiglia Moncada a Milo, in Sicilia.

Battiato è stato uno degli artisti più significativi e complessi e versatili dell’universo artistico italiano.

Nei decenni a trionfare sia nella musica classica e sperimentale che nel pop, finendo più volte in testa alle classifiche con brani come «Bandiera bianca», o «L’era del cinghiale bianco». Pur avendo creato opere musicali complesse come «Gilgamesh» andato in scena all’Opera di Roma o la sonata per pianoforte «L’Egitto prima delle sabbie», Battiato è riuscito a vincere come autore il festival di Sanremo 1981, avendo composto con Giusto Pio e la stessa Alice il brano «Per Elisa».

Battiato viveva allora un momento magico al centro di un sodalizio artistico molto affiatato composto da lui, il violinista Giusto Pio, il produttore Angelo Carrara, la cantante Giuni Russo, il cantante Mino di Martino, il musicista Francesco Messina e il compositore e pianista Roberto Cacciapaglia.

La scomparsa del padre, il viaggio a Milano con la madre

Battiato era nato a Riposto, allora chiamata Ionia, il 23 marzo 1945.

A seguito della prematura scomparsa del padre si trasferisce con la madre a Milano.

Nel cabaret club 64, dove suona e canta conosce Paolo Poli, Enzo Jannacci, Renato Pozzetto, Bruno Lauzi e Giorgio Gaber con cui instaura una duratura amicizia.

Scrive con lui il brano «E allora dai» che, cantato da Gaber e da Caterina Caselli, va in gara a Sanremo 1967. Nel 1973 un operatore culturale e pubblicitario di nome Gianni Sassi cerca qualcosa di nuovo e dirompente per promuovere le ceramiche Iris, delle piastrelle di lusso che raffigurano fedelmente una zolla di terra appena arata. E trova sponda nel singolare artista siciliano innamorato dello stile di Karlheinz Stockhausen (conosciuto dopo un suo concerto a Torino)e Luciano Berio.

L’avanguardia

Battiato fa musiche e poesia d’avanguardia, sfidando nei concerti un pubblico poco avezzo a dissonanze e altre follie.

Con la stessa etichetta del maestro Pino Massara, la Bla Bla record, incide anche l’album «Fetus» che reca un feto umano in copertina e viene sequestrato. I suoi interessi vanno dalla musica lirica al pop e all’avanguardia.

È un outsider a tutto campo. Che la grande platea scopre soprattutto con gli album «L’era del cinghiale bianco», «La voce del Padrone» e «Up patriots to arms».

Ma la magia con cui lui maneggia i grovigli di fili dei rudimentali sintetizzatori dell’epoca è straordinaria come dimostrano le geometrie elettroniche di «Proprietad prohibila» nell’album «Clic», ancora oggi sigla di TG2 dossier.

Un magico e ipnotico crescendo che incanta ancora oggi. Uno degli album più rivelatori del suo percorso resta «Caffè de la Paix», dove «l’inconscio ci comunica frammenti di verità sepolte».

L‘enigma e la malattia

Sul piano umano e musicale Franco Battiato resta un enigma.

La sua creatività è sorretta da una dura disciplina spirituale.

I suoi percorsi musicali spesso hanno ispirazioni lontane, tortuose, e forme espressive ostiche che alludono a culture e simbologie remote e iniziatiche.

Frequenta assiduamente il filosofo Henri Thomasson, che firma molte canzoni con lo pseudonimo di Tommaso Tramonti.

A volte Battiato riesce ad essere oscuro e lontano (così lo vivemmo con «Gilgamesh» all’Opera di Roma), altre di una chiarezza cristallina (basti pensare a «Povera patria» in «Come un cammello in una grondaia»).

La fede in una immortalità immanente

Battiato impasta e mette in musica, scienza e mito, fede in un’immortalità immanente nel mistero della natura e dello spirito, nel rimpianto perenne di un ordine e di una felicità perduta ma che nel Gran Giorno per alcuni ritornerà.

Tema ben presente in «Lode all’inviolato».

In altri dischi Battiato invita a trascendere il corpo entrando in una sorta di sonno vegliante.

Battiato, che ha anche prodotto un disco di Milva con le sue canzoni e ha scritto successi estivi di Giuni Russo come «Un’estate al mare» è stato attivo su vari campi artistici: la pittura, il cinema con la colonna sonora del film «Una vita scellerata» (uscito nel 1990), incentrato sulla figura di Benvenuto Cellini. Negli ultimi anni aveva collaborato con il filosofo Manlio Sgalambro.

La devozione alla madre

Battiato era molto devoto alla madre. Quando comprò il castello dei Moncada a Milo, fece riconsacrare la cappella che faceva parte del complesso e ogni mattina un prete diceva messa per lei.

Nel restauro del castello Battiato sventrò le cantine creando una sala da ballo (adorava le danze sufi) di oltre 200 metri quadri con il parquet ricavato dal legno di rovere delle botti.

E a chi gli chiedeva «e il vino?» lui rispondeva: lo comprerò al supermercato.

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