Made in Italy

L’export agroalimentare cerca nuovi sbocchi e punta su Cina e sostenibilità

Nel 2020 +2,5% per 46 miliardi. In testa Usa, Francia, Germania, Uk e Giappone. La sfida è intercettare le tendenze legate green

di Silvia Marzialetti

Buoni risultati nel 2020: +2,5% per 46 miliardi. Le prime cinque destinazioni sono Usa, Francia, Germania, Uk e Giappone. Ma la sfida sarà intercettare le nuove tendenze di consumo green

L’export agroalimentare è cresciuto del 2,5% anche nel 2020

4' di lettura

Quarantasei miliardi di euro nel 2020: nonostante le difficoltà legate allo spostamento delle merci da un Paese all’altro e alle restrizioni che hanno penalizzato molti canali di vendita, le esportazioni dei prodotti agroalimentari italiani hanno registrato lo scorso anno un salto del 2,5%.

Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Giappone le prime cinque destinazioni dell’export: i dati (frutto di elaborazioni Sace su dati Istat) ci dicono anche che le bibite – con i vini in testa – rappresentano la categoria più venduta in Germania (1,5 miliardi di euro nel 2020), Usa (2,2 miliardi), Regno Unito (1 miliardo). Sono le cosiddette eccellenze settoriali che Carlo Ferro, presidente Ice, ha annoverato tra gli “Oscar dell’export”, in quanto indice «della capacità delle nostre filiere di resistere agli shock inaspettati». Li mette in fila il rapporto presentato in collaborazione con Prometeia: riso in Germania, pasta in Giappone e Uk, vino in Corea del Sud e Olanda, olio di oliva in Francia.

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Gli investimenti di Sace

Nel 2020 Sace – la società assicurativo-finanziaria specializzata nel sostegno alle imprese e nella promozione dello sviluppo del sistema Paese – ha mobilitato 1,2 miliardi di risorse per l'agroalimentare. «Si tratta di un settore che ancora ha una forte connotazione su mercati molto tradizionali e ad elevata concentrazione», spiega Alessandro Terzulli, chief economist della società. «Il 90% dell’export si concentra nelle prime trenta destinazioni, con i soli primi cinque mercati che detengono più della metà delle vendite all'estero», prosegue.

Nonostante la buona tenuta, il gap con i principali competitors - ha ricordato recentemente Valerio De Molli, managing partner & ceo di The European House-Ambrosetti, pone come sfida per il 2021 la ricerca di ulteriori spazi. Tanto più che le stime Ice-Prometeia danno il commercio alimentare made in Italy in crescita dell’8,5%, grazie all’onda lunga della pandemia, che ha rafforzato l’aspetto salutistico legato ai consumi.

La partita si gioca su due fronti: da una parte la conquista degli ampi spazi di crescita non ancora occupati sui mercati consolidati – dove sarà cruciale intercettare le nuove tendenze di consumo protagoniste del Green Deal europeo – dall’altra un allargamento dei confini tradizionali. «Negli ultimi venti anni – spiega Terzulli – i processi di internazionalizzazione sono diventati più complessi per un discorso geografico, culturale e per le barriere tariffarie presenti anche all’interno della stessa organizzazione mondiale. È una complessità che va affrontata prima, ma che comporta ritorni maggiori rispetto al passato».

Giappone e Canada in crescita

Ne è un esempio il Giappone, cresciuto nel 2020 dell’8,6%, anche grazie all’entrata in vigore – nel 2019 – dell’Epa, l’accordo commerciale che ha aperto la strada a numerosi prodotti agroalimentari, soprattutto in termini di indicazioni geografiche tipiche. «Nonostante esca da un lungo periodo di stagnazione, il Paese rappresenta un mercato importante», commenta Terzulli. Gli effetti di un accordo commerciale (siglato nel 2017) si misurano anche sul Canada, che nel 2020 è cresciuto dell’8,9%. Al contrario, pur rimanendo un mercato appetibile, la Russia sconta i vincoli imposti nel 2016 all’import di moltissimi prodotti. Nella stessa area la Polonia rappresenta un mercato dal forte potenziale per l’export italiano: il report Ice-Prometeia ne identifica le ragioni nella crescita del reddito disponibile. Analogamente in Turchia – si legge ancora – i prodotti dell’alimentare italiano hanno conquistato una posizione privilegiata.

C’è poi il tema della meccanica strumentale legata al Food, come nel caso dell’India, grande esclusa dall'accordo Rcep e primo Paese al mondo per produzione agricola. «Una grande opportunità soprattutto per le catene di refrigerazione – dice Terzulli –. Il Paese ha un potenziale di crescita notevole e un ampio programma per attirare investimenti esteri. Anche qui comincia ad affermarsi una classe media che affina i suoi gusti e che va presa per tempo».

In Cina cresce la voglia di qualità

Detiene una quota minima (l’1%) dell’export agroalimentare made in Italy (il cui valore si aggira intorno ai 513 milioni di euro) e anche se lo scorso anno ha messo a segno una crescita del 16,3%, rimane fuori dai primi dieci bacini di approdo delle eccellenze italiane. Per questo la Cina rappresenta una tra le mete più attenzionate nella corsa ai nuovi mercati. Sullo sfondo l’accordo di libero scambio Rcep, siglato lo scorso anno da 15 Stati dislocati tra Asia e Oceania e destinato – secondo gli analisti – ad accelerare lo spostamento del baricentro del commercio internazionale verso Oriente.

Il processo è già in atto: a fronte di una classe media che cresce e che raffina i suoi gusti, il mercato cinese si apre a una crescente internazionalizzazione. E questo vale anche per il gusto alimentare. «Ma non è solo questione di palato», osserva l’avvocato Fabio Giacopello (studio Hfg) dal suo osservatorio privilegiato a Shangai. «È l’occasione di consumo che piace».

Chi da tempo ha fiutato il business è Fabbri, l’azienda specializzata nel dolciario e del beverage, celebre per la sua Amarena in sciroppo. In Cina dal 1999, l’azienda ha reso più strutturata e organica la propria presenza con la creazione della filiale Fabbri China, che dal 2009 presidia l’area curando l’importazione dei prodotti, la cui produzione rimane saldamente in Italia. «Dopo la pandemia – racconta il presidente Nicola Fabbri – il mercato cinese non è cambiato e questo si deve al lockdown ferreo, quasi militarizzato, imposto al Paese. Timidamente i cinesi hanno ripreso le proprie abitudini e anche noi ci stiamo riportando sulle stesse posizioni». Fabbri prosegue: «La pandemia ha favorito il programma quinquennale messo in atto dal presidente Xi Jinping, concentrato sulla crescita del mercato interno».

Cinquantadue negozi entro fine anno è il traguardo ormai prossimo per Venchi, azienda piemontese specializzata nel cioccolato e nel gelato di altissima qualità. «La Cina per noi è una bomba: ci ha salvato dalla pandemia», racconta l’ad, Daniele Ferrero. L’ultimo mall Venchi è stato aperto a Wuhan: «Lo abbiamo inaugurato a marzo e sta fatturando come New York», prosegue. Prima di Wuhan, tra gli altri, Suzhou, Guangzhou, Foshan. Oltre al business, Ferrero descrive bene il mood: «Il consumatore cinese è molto sofisticato, entra nel dettaglio degli ingredienti, cerca l’experience like in Italy».

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