Avevano scritto a Mario Draghi il 13 febbraio, giorno del giuramento del suo governo. I 400 operai dell’ex Embraco di Riva di Chieri gli chiedevano di intervenire per sbloccare i finanziamenti necessari a far partire il polo italiano dei compressori per frigoriferi Italcomp, garantendo un futuro a loro e ai 300 della Acc di Mel. Come annunciato cinque mesi prima dal ministero dello Sviluppo allora guidato da Stefano Patuanelli. Poi al Mise è arrivato il leghista Giancarlo Giorgetti, che in nome del mercato ha bocciato il progetto di una Italcomp con capitale per il 70% pubblico auspicando invece investimenti privati. La viceministra Alessandra Todde (M5s), che nel frattempo ha riottenuto la delega sulle crisi d’impresa, resta convinta che la strada da seguire sia la prima. Risultato: i 700 lavoratori vedono sfumare l’ultima possibilità di futuro in un settore in cui la domanda per prodotti made in Ue è paradossalmente in forte aumento. Quelli di Embraco stanno ricevendo le lettere di licenziamento e la Acc in amministrazione straordinaria, che pure sta vedendo aumentare gli ordini, senza liquidità dovrà chiudere i battenti a giugno.

Martedì è andato in scena l’ultimo corto circuito. Con il ministro e la vice che in due distinti comunicati hanno attaccato i sindacati che lamentavano la mancata presentazione di un emendamento di Giorgetti al decreto Sostegni per velocizzare i tempi di concessione di un finanziamento pubblico attraverso il fondo ad hoc previsto dall’articolo 37. Intervento preannunciato dalla Todde durante l’incontro del 23 aprile, sostengono Fim, Fiom e Uilm. I due inquilini del Mise hanno smentito, il primo chiamando in causa la vice (“Giorgetti, si precisa, non ha partecipato al tavolo”) e la seconda spiegando che i tempi di erogazione sarebbero stati comunque troppo lunghi. Nulla sui prossimi passi per evitare chiusure e licenziamenti. “In gioco c’è la vita di 700 persone: molti vanno alla Caritas per avere i pacchi alimentari, qualcuno ha perso la casa. Invece che smentire di aver preso un impegno il governo ci spieghi se questo progetto vedrà la luce o no”, chiede Ugo Bolognesi della Fiom Torino. “Far nascere Italcomp costa meno che continuare a versare ammortizzatori tenendo le persone a casa a deprimersi”. Sabato 8 maggio i lavoratori ex Embraco manifesteranno alla partenza del Giro d’Italia, in piazza Castello a Torino.

Le due crisi nate dalla vendita a gruppi asiatici – Un passo indietro. Entrambe le crisi, Embraco e Acc, sono eredità della vendita di aziende o rami d’azienda a gruppi asiatici. La Acc di Mel (Belluno), ex Zanussi Elettromeccanica, commissariata nel 2013, l’anno dopo è stata acquisita dal colosso cinese dei compressori Wanbao, controllato dalla municipalità di Guangzhou. Che nel 2019, dopo aver incassato incentivi statali, ha annunciato l’intenzione di andarsene per tornare a produrre in patria con costi più bassi. Nonostante gli ordini, in particolare da parte della vicina Electrolux di Susegana, non mancassero. Lo stabilimento Embraco in provincia di Torino, invece, nel 2018 è rimasto escluso dalla vendita del ramo di azienda che era di Whirlpool alla giapponese Nidec dopo che la stessa Embraco ha spostato la produzione in Slovacchia. I lavoratori sono in cig da allora, anche se in mezzo c’è stata la beffa della promessa reindustrializzazione da parte di Ventures, finita con un’inchiesta per bancarotta distrattiva.

Con il Covid aumenta la domanda per componenti made in Ue – L’anno scorso arriva il Covid e la tragedia della pandemia apre per il settore quella che l’allora sottosegretaria Todde a settembre definisce “un’opportunità“. L’arrivo di componenti dall’Asia – Cina in particolare – subisce rallentamenti e i produttori iniziano a riflettere sulla necessità di rivedere le catene di approvvigionamento affidandosi a fornitori più vicini. Si apre una fetta di mercato. E’ in questo quadro che nasce il piano industriale di Italcomp: una nuova società con capitale a maggioranza pubblico (via Invitalia e le finanziarie regionali di Piemonte e Veneto) che accorperebbe la ex Embraco, dove verrebbero prodotti i motori, e la Acc, dove nel frattempo il commissario straordinario Maurizio Castro, ex manager Zanussi nonché senatore Pdl, continua a portare avanti l’assemblaggio di compressori. Il primo stop al progetto arriva da Bruxelles, che a dicembre si prende altri 150 giorni di tempo per valutare il via libera alla garanzia di Stato sui 12,5 milioni di finanziamenti necessari per pagare fornitori e stipendi. Resta l’opzione della garanzia Sace al 90%, ma a quel punto sono le banche a dire no: il governo Conte è caduto, sul progetto non ci sono sufficienti certezze.

Acc verso chiusura a giugno e operai Embraco licenziati a luglio – Gli operai il 13 febbraio fanno appello all’ex presidente Bce, inutilmente. Il 23 aprile, all’incontro con la Todde, i sindacati e le Regioni coinvolte, Castro conferma che il progetto è ancora fattibile, nonostante i ritardi, ma occorre fare in fretta. “Ha pregato le istituzioni di far arrivare i soldi entro fine maggio dando così la possibilità di far lavorare 700 persone”, racconta Bolognesi. “Altrimenti a giugno, nonostante il forte aumento delle commesse nel primo trimestre, dovrà chiudere”. E’ in quell’occasione che, secondo Fim, Fiom e Uilm, la viceministra preannuncia un emendamento per garantire cassa all’azienda. Poco dopo per gli ex lavoratori Embraco arriva un’altra tegola: secondo il curatore fallimentare di Ventures la cig non può essere prorogata, da fine luglio ci sarà solo la Naspi. Subito dopo la Festa dei lavoratori partono le lettere di licenziamento.

Gli investitori privati non ci sono. I dubbi sull’Austria – Intanto scadono i termini per presentare modifiche al dl Sostegni e di interventi per Italcomp non ce ne sono. Gli operai Acc, che ultimamente lavoravano senza stipendio sperando nella partenza del progetto, si fermano e protestano a Belluno. Giorgetti, in question time, conferma la sua posizione: “Il metodo Corneliani, cioè l’investimento privato nel capitale è l’unico che è consentito dall’Ue ed è l’unico applicabile. Prosegue da parte del Mise, della Regione e dell’amministrazione straordinaria la ricerca di un partner privato per dare un futuro ai centinaia di lavoratori coinvolti. Tale investitore purtroppo non è stato ancora individuato“. Dunque è definitivamente tramontato il “piano A” messo a punto dal precedente esecutivo e ancora sostenuto da Todde. E al tempo stesso non c’è nessuna conferma degli “spifferi” secondo cui la giapponese Nidec vorrebbe Acc ma non Embraco. Il gruppo del Sol Levante peraltro ha uno stabilimento in Austria e tra i lavoratori c’è il timore di manovre per accontentare Vienna, che non apprezzerebbe la nascita un competitor forte in Europa.

“E’ uno spettacolo indecente“, chiude il sindacalista Fiom. “Dal ministero ci aspettiamo risposte sul futuro di 700 lavoratori e dell’industria made in Italy. Senza liquidità il commissario di Acc dovrà probabilmente svendere a un gruppo coreano o giapponese. Che si comprerà l’azienda per far fuori un concorrente“. Nessuna presa di posizione da parte del Pd. Solo Fratelli d’Italia, in aula alla Camera, ha messo alle strette Giorgetti: “Il grande progetto di politica industriale per la creazione di un polo italiano del compressore che coltiva la concreta ambizione di essere un polo di riferimento europeo”, ha detto il deputato Andrea Delmastro, “può far paura all’Austria che difatti blocca la procedura per difendere il suo orticello: non deve far paura a noi”.

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