I libri, i penitenziari, l'arte e la psicologia: la bella storia di Sibyl von der Schulenburg

Vissuta tra due culture, cresciuta tra la Giurisprudenza e la Psicologia, è una scrittrice italiana tedesca, è fondatrice dell'associazione «Artisti Dentro onlus»
I libri i penitenziari l'arte e la psicologia la bella storia di Sibyl von der Schulenburg

L’anno scorso, in piena pandemia ha pubblicato Melusine. La favorita del re (La Tartaruga), un romanzo che ritrae un’Europa in bilico fra guerre e imperi in rovina, dalla quale emerge la storia di una donna eversiva, provocatoria, forte, che ha cercato una via d’uscita dalla sua prigione dorata.

Sibyl von der Schulenburg, 67 anni, è nata a Lugano, ha scelto Milano per i suoi studi universitari e per il suo lavoro nel campo delle telecomunicazioni.. I suoi genitori sono tedeschi ed entrambi intellettuali: il padre, Werner von der Schulenburg, a inizio secolo fu responsabile di Italien, rivista che si proponeva di avvicinare tra loro culture diverse, la madre Jsa Carsen Iser era la baronessa che in My Fault espresse il suo astio nei confronti del nazismo.

Cresciuta bilingue, Sibyl ha poi attraversato i terreni della Giurisprudenza e della Psicologia, fino a spingersi nel terzo settore, per cui da tempo è impegnata a portare l'arte e la cultura nei penitenziari.

Sibyl, cosa conserva dentro di sé delle sue origini?«Sicuramente la mia educazione familiare che seguiva l’antica disciplina imposta ai rampolli della nobiltà germanica di qualche secolo fa, fondata su lealtà, coraggio e autocontrollo. In me ha lasciato il senso di appartenenza a un mondo aristocratico ormai finito, una condizione che spesso mi fa sentire un outsider. La mia crescita personale è stata caratterizzata fortemente dall’unione di due culture e dunque l’idea di due modi per fare e dire le cose, due modi per interpretare se stessi e il mondo. Dopo aver imparato altre due lingue, e iniziando a viaggiare molto per lavoro, ho imparato che la mia visione delle cose non era del tutto sufficiente e che dovevo lasciare aperte le porte alle alternative. A tal proposito il mio primo saggio Tradursi e tradirsi ha riguardato il bilinguismo dal punto di vista della psicologia evidenziando come il linguaggio influisca sul pensiero e sulla personalità di ciascuno».

Ha studiato sia Psicologia sia Giurisprudenza, cosa ha guidato queste scelte?«Giurisprudenza è stata una scelta obbligata in quanto sentivo fortemente il bisogno di giustizia e credevo che, con la laurea in tasca, avrei potuto portarla in ogni angolo della terra. Da bambina giocavo a fare lo sceriffo e da adolescente volevo entrare in polizia. Dopo l'università ho cercato di applicare i miei studi nella vita quotidiana rinunciando a fare il commissario e interessandomi più al comportamento umano. Così è scaturito l’interesse per la Psicologia e sono giunta a conclusioni inaspettate, scoprendo strumenti nuovi per la comprensione dell’animo umano».

Scrittrice come i suoi genitori, in che modo ha conservato questa passione?«Ho iniziato da giovanissima, ricordo i lunghi temi che creavo in quinta elementare e che servivano da modello per altre classi o gli articoli durante le scuole medie per il bollettino interno del collegio. Mi piaceva comporre poesie ed ero cosciente delle mie abilità, ma non avrei mai osato confrontarmi con i miei genitori. Il ricordo di mio padre come letterato era tenuto vivo da riedizioni continue dei suoi romanzi e, benché fosse morto quando avevo solo quattro anni, ne avevo fatto un esempio di vita. Mia madre curava il suo lascito, cercando nel frattempo di emergere come autrice di talento quale in effetti era. Un ambiente in cui forse non c’era posto per altri autori e così scrivevo di nascosto bruciando le mie opere dopo averle terminate. Era un modo per “lasciarle andare”, come se le avessi consegnate all’editore. Smisi di scrivere quando iniziò la mia avventura nelle telecomunicazioni per riprendere successivamente in maniera diversa. Più che conservarla, ho rigenerato la mia passione, sentendola sempre come un’eredità genetica».

Come sono le donne descritte nei suoi romanzi e saggi?«Le mie protagoniste sono figure forti, ingombranti, talvolta prepotenti, qualcuno dice che prevalgono sempre sugli uomini e forse è vero. Per chi come me ha dovuto farsi valere in un mondo come quello del business internazionale, è naturale tenere le figure maschili a un livello di azione controllato, cercando di metterle al servizio di una trama che vuole raccontare la mancata parità di genere. Nei miei “psicoromanzi” le donne sono vittime della propria mente, stravolta per le cause più varie, mentre in quelli storici sono femministe ante litteram. Emozioni positive e negative, maschere di vizi e virtù in cui potersi riconoscere. Alcune figure, ad esempio, rappresentano ciò che avrei voluto essere, altre quanto sono riuscita a evitare, ma nessuna è quella che sono oggi. Ciascuna è un pezzetto di me che prende forme diverse a partire da un nucleo comune».

Oggi si dedica al volontariato, portando arte e cultura nei penitenziari.«Per tale obiettivo ho fondato l’associazione Artisti Dentro Onlus che si è rivelata una fonte inesauribile di spunti di riflessione e di ispirazione. Si tratta di un impegno che mira a offrire uno strumento in più per un recupero sociale, inteso come il reintegro in una società le cui regole mirano al benessere comune. Le loro voci, provenienti da un centinaio di strutture in Italia, hanno cambiato la mia vita e il mio modo di vedere certe cose. Questa realtà vuole creare un ponte tra il dentro e il fuori delle mura carcerarie, proponendo concorsi e premi che danno modo ai detenuti di esprimersi e farsi conoscere».

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