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Fca a Melfi si ferma una settimana Colpa della crisi (mondiale) dei microchip

di Claudio Del Frate

Fca a Melfi si ferma una settimana Colpa della crisi (mondiale) dei microchip

Da domani, lunedì e fino al 10 maggio lo stabilimento Fca (ex Fiat) di Melfi, in Basilicata, si fermerà e i i suoi circa 7.000 dipendenti verranno posti in cassa integrazione. Lo hanno annunciato i sindacati confederali dei metalmeccanici. Lo stop agli impianti, oltre che dal calo della domanda, è determinato anche della «crisi dei semiconduttori» che sta investendo tutto il pianeta e il settore dell’automobile in particolare. Fca non dispone dei componenti sufficienti (i microchip) a garantire la produzione dei suoi modelli. La carenza è una delle conseguenze sull’economia mondiale della pandemia di Covid-19.

Dagli impianti di Melfi escono i modelli della Jeep e la Fiat 500X . La fabbrica lucana si era trovata alle prese con il medesimo problema già all’inizio dell’anno (in particolare a febbraio) ma la mancanza di microchip - installati sulle centraline elettroniche dei veicoli e fondamentali per il funzionamento di ogni vettura - ha costretto altre case automobilistiche in questi mesi a lavorare a singhiozzo. La Mercedes e la Peugeot, ad esempio, sono tra quelle che sono state costrette a rallentare la loro produzione. Un problema che- ammettono le organizzazioni dei lavoratori - al momento non vede soluzione.

Ma cos’è la «crisi dei semiconduttori» (o dei microchip) che sta mettendo in crisi il settore automobilistico e da cosa è stata determinata? I microchip - per la cui produzione sono indispensabili materiali come il silicio - governano il funzionamento non solo delle vetture ma anche di ogni apparecchiatura elettronica come computer, smartphone, televisori. Piccole piastrine - dette anche wafer - grandi meno di un centimetro che però sono il «cuore» di milioni di device. In coincidenza con il Covid si sono verificati due fenomeni: da un lato il forte rialzo della domanda di apparecchiature informatiche domestiche e di consumo (anche per l’esplosione dello smartworking); dall’altro le tensioni commerciali tra Cina e Usa.

In pochi mesi è aumentata di riflesso la richiesta di semiconduttori, la cui produzione è concentrata però in pochi Paesi asiatici (Cina, Corea del Sud e soprattutto Taiwan) e che secondo l’agenzia Bloomberg vale 500 miliardi di dollari. I produttori di microchip, di fronte al boom della domanda, hanno privilegiato le fornitura dei loro mercati e in particolare dell’elettronica di largo consumo (tablet e cellulari); determinando una forte difficoltà per le aziende automobilistiche europee e americane.

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