30 aprile 2021 - 08:21

Sui vaccini abbiamo perso un’occasione. Ci salva la gioia stupita di un’ottantenne

A questa foto ho dato un nome, «gioia». Ritrae una signora anziana che sorride, ma di un sorriso stupito, sorpresa forse dalla piccola puntura, un dolore che mai come oggi significa ritorno alla vita. Non alla vita normale, ma a quella senza paura. Paura non solo di morire per il Covid, ma di contrarre il virus in forma grave. Di contagiare le persone amate, essere ricoverati, stare male e far preoccupare chi ti vuol bene

di Roberto Saviano

Sui vaccini abbiamo perso un'occasione. Ci salva la gioia stupita di un'ottantenne
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Ho deciso di parlare di vaccini, ma voglio farlo partendo da lontano. Secondo l’Istat, nel 2020 sono stati iscritti all’anagrafe 404.104 bambini, quasi 16 mila in meno del 2019. Nel 2019 erano 420.084, 20 mila in meno sul 2018. Nel 2018 l’anagrafe ne registrava 439.747, oltre 18 mila in meno rispetto all’anno precedente quasi 140 mila in meno di 10 anni prima. Il tema vaccini, prima della pandemia, è stato dibattuto quasi esclusivamente per i vaccini sui bambini e i relativi richiami. Dai numeri sulle nascite citati pare evidente che tutto il dibattito sui vaccini, benché avessimo al tempo l’impressione che investisse un numero vastissimo di persone, in realtà interessava una fascia della popolazione numericamente esigua. Cosa ci dava l’impressione che fosse, invece, un dibattito condiviso?

IL TIFO VIOLENTO PRO E CONTRO I VACCINI ANDAVA FERMATO PRIMA DELLA PANDEMIA, QUANDO IL TEMA TOCCAVA SOLO I NEONATI

La violenza, la muscolarità, il disprezzo che una parte provava per l’altra. In una parola: il tifo. C’era chi tifava a favore dei vaccini e chi tifavaa contro e se provavi a intervenire ti arrivava addosso una colossale shit storm. Fare ammuina è la garanzia per allontanare dal dibattito tutte le persone che, mansuete di carattere, mal si adattano allo scontro. Perché invece di dare informazioni, di mettere a disposizione dei cittadini un vademecum per poter - dati alla mano - comprendere l’importanza dei vaccini, si è spesso scelta la strada della stigmatizzazione, della rabbia verso i comportamenti irrazionali?

È giusto, mi sono sempre chiesto, essere intolleranti con chi ritieni essere intollerante? La mia risposta è no. La soluzione sta nella parola, nel dialogo, anche nello scontro, purché non abbia il fine di annientare il proprio interlocutore, ma di convincerlo. Marco Pannella amava ripetere: non vincere, ma convincere. Anche perché così non è raro scoprire che, chi non la pensa come noi, ha ragioni utili a rafforzare la nostra scelta o a metterne in luce le contraddizioni. Diciamocelo senza infingimenti: sui vaccini abbiamo perso un’occasione d’oro. Abbiamo perso la possibilità di parlarne serenamente in tempo di pace. Sì, perché se oggi parliamo di vaccini di massa è ovvio che l’argomento ha assunto un’urgenza e proporzioni fino a un anno e mezzo fa inimmaginabili. Vale sempre la pena affrontare in tempo di pace le questioni spinose. E invece, oggi, ai ritardi nell’organizzazione della campagna vaccinale e nella consegna delle dosi, si aggiunge uno scetticismo già latente che nessuno si è premurato di fugare su larga scala. E che il blocco del vaccino di AstraZeneca ha aggravato. Ciascuno ha le sue responsabilità: autorità sanitarie, politica, informazione.

Alla foto che ho scelto ho dato un nome, «gioia». Ritrae una signora anziana che sorride, ma di un sorriso stupito, sorpresa forse dalla piccola puntura, un dolore che mai come oggi significa ritorno alla vita. Non alla vita normale, ma a quella senza paura. Paura non solo di morire per il Covid, ma di contrarre il virus in forma grave. Di contagiare le persone amate, essere ricoverati e far preoccupare chi ti vuol bene. «State attenti per le persone a cui volete bene. Se avete figli immaginate la loro sofferenza nel sapervi in pericolo, la paura che provano a non potervi vedere», dice chi ha avuto il Covid. E allora non riesco davvero a capire chi potrebbe vaccinarsi e non lo fa. Non capisco ma provo a mettermi nei loro panni. Me lo ha insegnato Aldo Masullo, un filosofo recentemente scomparso che ho amato molto e a cui mi sento debitore. Parlava di sofferenza e insofferenza per provare a comprendere le ragioni di chi fa scelte che potremmo non capire. Verso chi non la pensa come noi è empatia il primo sentimento da provare, non rabbia, non disprezzo. «Non ci fidiamo del vaccino», dirà qualcuno. Lo capisco, ma ora si deve agire per il bene della comunità. Vacciniamoci pensando a chi amiamo. Quando sarà il mio turno, penserò alla signora che sorride sorpresa per una vita di relazioni che può finalmente ricominciare.

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