Covid, variante indiana: che cosa sappiamo

Non è ancora chiaro se sia più contagiosa e più letale né se sia davvero alla base del boom di contagi nel paese. Ma va monitorata perché le due mutazioni della proteina spike possono impensierirci
Covid variante indiana che cosa sappiamo

Cosa sappiamo della cosiddetta variante indiana? Che dovremmo piuttosto chiamarla B.1.617, che è emersa nello stato centro-occidentale indiano del Maharashtra (220 campioni su 361 raccolti tra gennaio e marzo) ma non sappiamo davvero dove possa aver avuto origine. Fra l’altro, non dobbiamo neanche compiere l’errore di valutare la drammatica situazione indiana attuale esclusivamente con la diffusione di questa variante: sappiamo molto poco sulle sue caratteristiche e però sappiamo che nel paese la sua prevalenza è stimata intorno al 10%, al massimo al 15% del totale dei campioni esaminati. Insomma, le ragioni del quadro che nel paese fa registrare ogni giorno oltre 300mila casi al giorno e più di 2mila morti sono anche altre. E secondo alcuni esperti in effetti è così. Ma intanto molti paesi, fra cui l’Italia, hanno imposto per prudenza misure molto severe per i viaggiatori in arrivo o in transito dall’India. Di fatto, una sostanziale chiusura.

Individuata per la prima volta lo scorso ottobre, B.1.617 presenta due particolari mutazioni sulla glicoproteina spike che il virus utilizza per agganciare le cellule dell’ospite. Come negli altri casi, sono modifiche che possono di certo impensierirci. Sono già note ma si presentano per la prima volta insieme in un unico ceppo. Sono la già conosciuta E484Q, presente nelle brasiliane e nella sudafricana (che pure sfoggia una doppia mutazione), e la L452R. Tuttavia al momento non ci sono studi completi che possano dirci che questa variante sia più infettiva o addirittura più letale. Come negli altri casi, occorre però la massima prudenza. E fra l’altro, dal momento che le vaccinazioni sono in corso, è difficile ipotizzare che sia emersa per una ipotetica resistenza ai vaccini.

Stesso discorso sull’efficacia dei prodotti con cui ci stiamo immunizzando: la risposta innescata dal vaccino è in realtà policlonale, cioè dà vita alla produzione di tanti anticorpi differenti che attaccano la proteina spike in diversi punti. Per questo le mutazioni in una o due posizioni vanno studiate (e servirebbe un progetto di sequenziamento su larga scala che in Italia ancora non esiste e il governo non ha di fatto finanziato) ma non devono terrorizzarci. Anche se, come alcune indagini hanno dimostrato sui vaccini mRna possono condurre a una parziale riduzione di efficacia.

«I nostri scienziati sono al lavoro per studiare la variante indiana. Non possiamo abbassare la guardia» ha spiegato il ministro della Salute Roberto Speranza. In altri paesi del mondo sono stati registrati casi sporadici. In Italia ufficialmente solo tre, uno lo scorso marzo a Firenze e due nei giorni scorsi in Veneto (altri due casi in attesa di conferma). La maggior parte è stata segnalata nel Regno Unito (103 dal 22 febbraio) ma verosimilmente solo per il fatto che quel paese ha un formidabile sistema di sequenziamento del genoma virale e fornisce la maggior parte delle informazioni al sistema globale Gisaid. Lo scorso 24 aprile è stato individuato un caso in Svizzera, un passeggero in transito. In Israele ne sono stati trovati otto e secondo il direttore generale del ministero della Salute il vaccino Pfizer sarebbe almeno parzialmente efficace contro la variante. Nel complesso, i paesi in cui è stata per ora isolata sono 21.

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