Genova

L'inchiesta sul disastro del 14 agosto 2018

Ponte Morandi, verso il maxi processo in estate a Genova per 69 indagati

Ponte Morandi, verso il maxi processo in estate a Genova per 69 indagati
I pubblici ministeri Massimo Terrile e Walter Cotugno hanno chiuso le indagini sulla tragedia che è costata la vita a 43 persone. Durissime accuse: "Già dal 1990 Autostrade sapeva che il viadotto era a rischio"
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"Non abbiamo perso un giorno", dice il procuratore capo Francesco Cozzi. Due anni e otto mesi dopo il crollo di ponte Morandi, i pubblici ministeri Massimo Terrile e Walter Cotugno hanno chiuso le indagini sulla tragedia che è costata la vita a 43 persone. E aggiunge Cozzi: "Pensiamo che il processo si possa celebrare entro l'estate.  Non è stato perso nemmeno un giorno senza lavorare a questa indagine. La complessità della vicenda, due incidenti probatori, hanno portato a questi tempi. È stato un lavoro straordinario - ha detto -. Questo è un passaggio importante ma è il punto di vista della procura, dello Stato. Ora si apre una fase in cui le difese spiegheranno le proprie ragioni".  "Come servitore dello Stato - ha detto Cozzi - sono onorato ad avere coordinato questa indagine. Lo dovevamo alle vittime e per tutelare interessi pubblici e privati".

Gli atti

La Procura sta notificando a 69 persone, più le società Autostrade per l'Italia e Spea, gli "Acip" (avviso di conclusione delle indagini preliminari). L'atto che precede le richieste di rinvio a giudizio: "Se ci sono stati dei rallentamenti, non sono mai dipesi da noi", rivendica Cozzi.

Oltre al documento che sarà recapitato a tutti gli indagati - i pm per il momento non hanno archiviato alcuna posizione - c 'è una mole impressionante di atti a disposizioni delle difese. Tra questi, la consulenza tecnica della Procura, finora rimasta segreta. Che mette in evidenza la "incosciente dilatazione" dei tempi rispetto alle decisioni da prendere sulla sicurezza da parte di Aspi e Spea. Oltre alle "comunicazioni incomplete ed equivoche" sui report sullo stato di salute del viadotto. Analisi in parte condivise dai periti del Gip al termine dei due incidenti probatori. Così come è condivisa da accusa e periti del giudice la causa del crollo: la rottura di uno degli stralli della pila 9, quello verso Sud-Est.

Le accuse

Oltre alle accuse di omicidio colposo plurimo, disastro, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso, le contestazioni della Procura dovrebbero riguardare anche l'omicidio stradale. Un reato valutato fin dall'inizio delle indagini dai pm Terrile e Cotugno, e che ora dovrebbe comparire nero su bianco.

Oltre ai 68 nomi già noti, c'è un nuovo indagato, le cui responsabilità sono emerse soltanto negli uitimi mesi. Una posizione, a quanto filtra, comunque marginale. Procura e finanzieri del Primo Gruppo e del Nucleo Operativo Metropolitano, diretti dal colonnello Ivan Bixio e dal tenente colonnello Giampaolo Lo Turco, hanno fin da subito in tre direzioni.

In primis Autostrade per l'Italia, a partire dall'ex amministratore delegato Giovanni Castellucci e ai dirigenti allora subito sotto di lui, Michele Donferri Mitelli e Sergio Berti. Gli stessi manager poi arrestati nell'ambito dell'indagine parallela sulle barriere antirumore pericolose e fuori norma.

Ma fin da subito sono emerse le responsabilità di Spea, la società "gemella" di Aspi delegata al monitoraggio e al controllo della rete in tutta Italia. Anche il suo ex amminsitratore delegato, Antonino Galatà, è stato colpito da una misura cautelare, la sospensione dai pubblici uffici per dodici mesi, e stavolta nell'ambito dell'inchiesta sui report truccati sugli altri viadotti.

Infine, la Procura ha messo sotto indagine anche alcuni uomini chiave del ministero delle Infrastrutture. Perché se è vero che, secondo i pm, dirigenti e tecnici di Autostrade e Spea hanno fatto il bello e il cattivo tempo sulla pelle degli automobilisti, è altrettanto vero che l'unico organo deputato a controllare la concessionaria era il ministero. Quel lavoro di controllo, però, per gli inquirenti non è stato fatto.

I tempi

Se la pandemia ha giocoforza rallentato i tempi dell'indagine - basti pensare alle riunioni fra i tecnici durante l'incidente probatorio, alcune rimandate più volte, altre svolte a distanza - nelle ultime settimane si è tornati a correre: "Anche le udienze dello stesso incidente probatorio in tutto sono durate soltanto sette giorni, andando oltre le nostre aspettative", confida Cozzi.

Fin dalle prossime ore nella tensostruttura "anti-Covid" allestita nell'atrio del tribunale di Genova inizierà il via vai degli avvocati degli indagati, che potranno accedere agli atti attraverso il "cervellone", il software usato anche dall'Fbi che permette di indicizzare e collegare elementi (per la Procura indizi) provenienti da diverse fonti. Soltanto di materiale informatico agli atti ci sono 55 terabyte, che per capirsi corrispondono a oltre 82 mila cd-rom, o più di 7 milioni di foto.

Le carte

Già nel 1990 e nel 1991 Autostrade Spa sapeva che nella pila 9, quella crollata il 14 agosto 2018, vi erano "due trefoli lenti e due cavi scoperti su quattro". E' quanto emerge dall'avviso di conclusioni indagini che gli investigatori del primo gruppo della guardia di finanza sta notificando in queste ore ai 69 indagati più le due società Aspi e Spea. Le accuse sono di attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo colposo, omicidio colposo e omicidio stradale e rimozione dolosa di dispositivi per la sicurezza dei posti di lavoro.

"Le indagini diagnostiche - si legge nel documento - degli anni 1990 (19-29 novembre) e 1991 (12-13 giugno) sugli stralli della pila 9, pur eseguite in modi parziali e inadeguati, avevano individuato, sull'unico strallo a mare lato Savona esaminato, 2 trefoli "lenti" e del tutto privi di iniezione, e, sull'unico strallo lato Genova lato monte esaminato, 2 cavi scoperti su 4, privi di guaina perché completamente ossidata, privi di iniezione perché asportata dal degrado originato dalle infiltrazioni dell'acqua meteorica e, soprattutto, alcuni trefoli rotti, con pochi fili per trefolo ancora tesati".

Il manuale di sorveglianza e il catalogo difetti approvato da Aspi erano "del tutto inidonei a fornire una rappresentazione completa e veritiera dei difetti esistenti" ed erano espressione della "filosofia manutentiva praticata dalla società che prevedeva che il degrado non fosse prevenuto o affrontato e risolto sul nascere, ma fosse lasciato avanzare e progredire".
Vi era da parte di Aspi una "presunzione, del tutto infondata sotto il profilo tecnico-scientifico, di essere sempre in grado di controllarne l'evoluzione nel tempo, in modo da poter intervenire il più tardi possibile, ma, comunque, prima che potessero verificarsi conseguenze troppo gravi ed economicamente dannose, come il crollo del 14 agosto 2018".
Spea, dal suo lato "sottostimava sistematicamente i difetti che rilevava, attribuendo voti inferiori a quelli previsti dal manuale, in modo da non costringere Aspi a procedere a interventi manutentivi in tempi brevi, mantenendo inalterata, attraverso disinvolte operazioni di "copia-incolla" e contro ogni legge fisica, la descrizione e la valutazione di gravità dei difetti anche per molti anni, senza fornirne descrizioni tecnicamente idonee e sufficientemente circostanziate per consentire l'individuazione della loro esatta ubicazione e dell'epoca della loro prima rilevazione".

Fino al 2008- si legge ancora nelle carte - "nessun sistema di monitoraggio strumentale era mai stato installato sul viadotto, a parte quello destinato a tenere sotto controllo la pila 11, oggetto dei lavori di rinforzo degli stralli, che, installato nel 1995 e rivelatosi un fallimento, veniva abbandonato nel 1998".
Dal 2008 "era diventato operativo un (modesto e inidoneo) sistema di monitoraggio statico, limitato al solo impalcato compreso tra i sistemi bilanciati, installato da TECNO-EL, che condivideva con ASPI i relativi dati sulla base di un contratto che ASPI decideva di non rinnovare alla scadenza del 30.6.2014;
in data 7.7.2016, i cavi di questo sistema venivano accidentalmente tranciati nel corso di lavori e, da allora, il sistema non veniva più ripristinato".
Inoltre, proseguono i magistrati,  "nel periodo immediatamente precedente il tranciamento dei cavi (maggio-luglio 2016), il sistema di monitoraggio installato da TECNO-EL aveva evidenziato che gli inclinometri posizionati sulle pile 9 e 10 - ma soprattutto i primi - a differenza di quelli posizionati sulla pila 11, segnalavano movimenti anomali e inattesi dell'impalcato, che avrebbero imposto immediati approfondimenti sulle condizioni della struttura allo scopo di individuarne le cause, ma che venivano totalmente ignorati da Aspi e Spea".

In 51 anni, dall'inaugurazione nel 1967 al crollo, non è "mai stato eseguito il benché minimo intervento manutentivo di rinforzo sugli stralli della pila" 9, scrivono i pm. Inoltre, "nei 36 anni e 8 mesi intercorsi tra il 1982 e il crollo, gli interventi di natura strutturale eseguiti sull'intero viadotto Polcevera avevano avuto un costo complessivo di 24.578.604 euro": il 98,01% stati spesi dal concessionario pubblico e l'1,99% dal concessionario privato.
"La spesa media annua del concessionario pubblico era stata di 1.338.359 euro (3.665 al giorno), quella del concessionario privato di 26.149 euro (71 al giorno)".