Discriminati per l'età ai colloqui di lavoro? «La soluzione è la selezione al buio»
«Da poco ha squillato il telefono, chiamata anonima. Voce molto molto giovane dall’altro lato. “Buongiorno parlo con xxx? Ha inviato una candidatura come operatrice customer care?” – “Sono io, mi dica” – “Prima di andare avanti, volevo chiederle la data di nascita” – “Sono nata nel 1978, ho 42 anni” – “Ah, allora ci dobbiamo fermare, ho disposizioni, non oltre i 30, buongiorno”».
Quello che avete appena letto è soltanto uno dei (tanti) episodi di discriminazione anagrafica - o, per chi preferisce l’inglese, di age shaming - che sempre più spesso vengono denunciati sui social network, LinkedIn in particolare, da chi affronta la ricerca di un (nuovo) lavoro in Italia.
E non si tratta purtroppo di un fenomeno marginale. «Secondo l’indagine Work Force del 2018», ci dice Silvia Vianello, super coach di carriera e un'esperienza di oltre vent’anni nel mondo del lavoro, «i lavoratori italiani sono al primo posto in Europa tra coloro che dichiarano di subire discriminazioni sul posto di lavoro. Per il 19,3% degli over 55 l’età è il principale motivo per cui si sentono discriminati e il 22% tra i 45 e 54 la considera il più grosso ostacolo alla professione».
Il caso di Stefania F. che avete letto all’inizio, però, dimostra che si può essere discriminati in base all’età sempre, anche a 42 anni. E addirittura a 30, come ci racconta Sara L., contattata da un’azienda a cui aveva mandato un curriculum e scartata dalla HR al telefono perché «non aveva letto che avessi 30 anni». La risorsa che cercavano doveva averne al massimo 24.
L’age shaming, insomma, sembra poter colpire proprio tutti e sempre prima. Perché la soglia anagrafica si abbassa di continuo, soprattutto in un periodo di crisi come questo.
Silvia Vianello, coach di carriera indicata da Forbes come una delle 100 donne italiane più di successo nel mondo e neo vincitrice del XVII Premio Internazionale Isfoa alla Carriera – anno 2021, aiuta le persone a realizzarsi professionalmente
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