2 aprile 2021 - 22:19

Merkel, l’eredità difficile

Il campo conservatore è lacerato dai dubbi su chi lanciare nella battaglia per la successione alle elezioni di settembre. E la sconfitta non è né impossibile, né lontana

di Paolo Valentino

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Merkel, l'eredità difficile Angela Merkel (illustrazione di Fabio SIroni)
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«La fine della maestà non muore mai da sola, ma come un gorgo trae con sé tutto ciò che le è vicino». La profezia di Rosencrantz nell’Amleto di Shakespeare fotografa bene il rischio di fronte al quale si trova la Cdu tedesca, a sei mesi dall’uscita di scena della cancelliera che l’ha tenuta al potere per 16 anni, assicurando alla Germania stabilità e buona gestione dell’economia. Raramente una lunga stagione di dominio si chiude in modo quieto e indolore. E l’addio della madre della nazione non fa deroga. Ma la fine imminente dell’era Merkel annuncia anche una nuova fase nella vita pubblica tedesca: dopo il letargo ultradecennale indotto dalle certezze rassicuranti dell’eterna cancelliera, in Germania è tornata la politica e Berlino si avvia a diventare il più grande laboratorio d’Europa.

Alcuni fatti, nelle ultime settimane, hanno cambiato radicalmente le coordinate del Paese. Nell’ordine, le elezioni regionali nel Baden-Württemberg e in Renania-Palatinato, dove la Cdu è crollata ai minimi storici. Lo «scandalo delle mascherine», che ha costretto alle dimissioni tre deputati cristiano-democratici e soprattutto ha svelato un verminaio di attività lobbistiche e laute commissioni che sta già costando una grave emorragia di consensi. Infine, le pubbliche scuse al Paese di Angela Merkel, che si è dovuta rimangiare un lockdown duro per la Pasqua, mal pensato e ancor peggio preparato: mea culpa onesto e coraggioso, ma segnale di strutturale debolezza. Anche perché seguito da un silenzio che tradisce assenza di piani e rassegnazione.

A far da comune tela di fondo ai tre eventi è infatti il sostanziale fallimento del governo e dei Länder tedeschi nella lotta alla pandemia: aumento di contagi e decessi, caos nelle misure, liti furibonde tra la cancelliera e i premier regionali, soprattutto flop clamoroso della campagna di vaccinazione, che finora ha visto appena il 10% della popolazione ricevere una prima dose e meno del 5% anche la seconda.

Le conseguenze sulla politica tedesca sono autentiche scosse sismiche. Lo spettro evocato dalle urne di Stoccarda, dove per la prima volta è emersa la possibilità di una coalizione «semaforo» tra Verdi, Spd (rossi) e liberali (gialli), aleggia ora anche sui sondaggi nazionali, con la Cdu-Csu crollata al 25%/28% delle intenzioni di voto. L’ipotesi di un governo senza l’Unione non è più né impossibile né lontana.

Tanto più che la Cdu appare in pieno marasma e Merkel, che per anni ne ha da sola stoicamente coperto i problemi, non è più in grado di stabilizzarla. La cancelliera si è di fatto già congedata dal partito, ma il vuoto che lascia appare incolmabile. Il campo conservatore è lacerato su chi lanciare nella battaglia per la cancelleria alle elezioni di settembre: allo sbiadito candidato naturale, il premier renano e neopresidente del partito Armin Laschet, molti nella Cdu preferirebbero il carismatico Markus Söder, premier della Baviera e capo della gemella Csu.

Perfino Merkel sembra prendere le distanze da Laschet, che pure si vuole in continuità con il suo corso centrista e moderato. In un’intervista televisiva vista da milioni di tedeschi, la cancelliera lo ha attaccato personalmente, additandolo fra i premier regionali che hanno ignorato le misure restrittive concordate tra lei e i capi dei Länder. «Non sono stato contento», ha ammesso Laschet, il cui livello di popolarità è bassissimo rispetto al rivale bavarese, che per ora preferisce rimanere sottotraccia. «Armin Laschet — profetizza un dirigente della Cdu — non diventerà cancelliere, ma sarà l’ultima vittima di Angela Merkel».

Il problema è che neppure Markus Söder è garanzia di vittoria. L’era Merkel, che verso l’esterno ha segnato il trionfo della Germania come potenza esportatrice mondiale, all’interno è stata caratterizzata da scarso dinamismo politico e da un sostanziale autocompiacimento che ha ignorato sfide decisive come la digitalizzazione e un’audace agenda verde. Sfide che ora bussano alla porta. In più la Germania deve ridefinire insieme all’Europa i rapporti transatlantici, alla luce del nuovo patto offerto dall’Amministrazione Biden. La Cdu-Csu non sembra avere direzione strategica per affrontarle. Merkel è stata il volto rassicurante e per bene di quest’epoca un po’ Biedermeier, opulenta ma piatta, semplice e restia alla soluzione dei grandi problemi, come l’Austria della Restaurazione. Ma ora si lascia dietro un partito smarrito e in piena convulsione. Nuovi protagonisti appaiono all’orizzonte, per primi i Verdi che sulla green economy possono vantare 40 anni di storia e si presentano come i più credibili interpreti della nuova modernità. Tutto può succedere in Germania. Anche che il prossimo cancelliere (o la prossima cancelliera) abbia il colore della speranza.

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