La riforma dell’articolo 18 contenuta nella legge Fornero del 2012 è incostituzionale perché prevedendo una diversità di trattamento tra il licenziamento economico e quello per giusta causa, anche quando il fatto è manifestamente insussistente, viola il principio di uguaglianza tra i cittadini. E’ quanto emerge dalla motivazioni della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha bocciato la norma. La decisione della Consulta ha quindi reso obbligatoria la reintegra, anche nel caso del licenziamento economico, se il fatto è manifestamente insussistente. Per la giusta causa, invece, basta la inesistenza del fatto. 

Per i giudici, il diverso trattamento previsto dalla norma non ha giustificazione anche perché allo stesso si associa l'irragionevolezza intrinseca del criterio distintivo adottato, che conduce a ulteriori e ingiustificate disparità. Per i licenziamenti economici, infatti, il legislatore rendendo il reintegro sul posto di lavoro una sorta di opzione non indica criteri direttivi: di conseguenza, la scelta tra due forme di tutela così diverse come la reintegra e l’indennità economica viene lasciata alla valutazione del giudice senza alcun punto di riferimento.

Nel 2015, la riforma Fornero è stata superata dall’entrata in vigore del Jobs Act che ha cancellato integralmente il diritto al reintegro sul posto di lavoro. Di conseguenza, la decisione della Consulta allarga ulteriormente la forbice delle tutele tra chi è stato assunto prima e chi dopo l’entrata in vigore del riforma voluta dal governo Renzi. 

Peraltro, nel 2018, sempre la Corte Costituzionale, aveva bocciato gli indennizzi fissati dal Jobs Act per i lavoratori licenziati. Per i giudici un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore era infatti contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrastava con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione. Il Jobs act varato dal governo Renzi prevedeva un indennità di licenziamento compresa tra un minimo di 4 e un massimo 24 mensilità. Il primo governo Conte aveva invece portato il risarcimento massimo a tre anni. 

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