Tragedia del mare. Il figlio morì in un naufragio di migranti: il padre a processo in Grecia
A 5 anni dall’annuncio dell’accordo tra Ue e Turchia sulla gestione dei flussi migratori, la storia di un padre che dopo aver perso il figlio di cinque anni ora rischia anni di carcere con l'accusa di essere responsabile della sua morte. Il reportage di Associated Press dall'isola di Samo.
Su una collina coperta di pini che si affaccia sul blu scintillante dell'Egeo giace la tomba di un bambino, un orsacchiotto appoggiato alla lapide di marmo bianco. Il suo primo giro in barca è stato l'ultimo: il mare lo ha reclamato prima del suo sesto compleanno: "È annegato in un naufragio", recita l'epitaffio sulla lapide, "Non è stato il mare, non è stato il vento, sono state le politiche e la paura".
Il padre, 25 anni, che ancora piange la perdita del suo unico figlio, è accusato di aver messo in pericolo la vita del bambino per averlo portato con sé nel pericoloso viaggio dalla Turchia alla vicina isola greca di Samo. Se condannato, rischia fino a 10 anni di carcere. Le accuse sono un brusco cambiamento di rotta rispetto al trattamento che finora la Grecia ha riservato a migranti naufraghi sopravvissuti. È la prima volta nell'Unione europea che un genitore affronta un processo penale per la morte del proprio figlio avvenuta nel viaggio alla ricerca di una vita migliore in Europa.
Le speranze di quest'uomo si sono infrante in una fredda notte di novembre contro le rocce di Samo, l'isola che ospita anche il campo profughi più sovraffollato della Grecia. "Senza di lui non so come fare a vivere", dice il giovane che ha accettato di parlare a Associated Press a condizione di essere identificato solo con le iniziali, N.A., e che suo figlio non fosse nominato. La sua voce si intenerisce mentre una lacrima gli scende lungo la guancia. "È l'unico che ho avuto nella mia vita. Tutte le mie speranze erano riposte in lui". Ora, dice, pensa spesso al suicidio e non menziona più il nome del figlio.
Non è del tutto chiaro perché le autorità greche abbiano deciso di muovere accuse tanto gravi a quest'uomo quando tanti altri sono stati al suo posto in precedenza. Gli attivisti sospettano che la mossa indichi un inasprimento delle politiche migratorie già restrittive della Grecia o, suggeriscono, potrebbe essere un tentativo di distogliere l'attenzione da possibili negligenze della guardia costiera nazionale. Ma il ministro dell'immigrazione Notis Mitarachi respinge l'idea che il caso sia visto come l'annuncio di un cambiamento di politica. "Se c'è la perdita di una vita umana, si deve indagare se alcune persone, per negligenza o deliberatamente, hanno agito al di fuori dei limiti della legge", spiega Mitarachi aggiungendo che la vita dei richiedenti asilo non è in pericolo in Turchia, un paese che l'UE ha ritenuto sicuro: "Le persone che scelgono di salire su barche inaffidabili, guidate da persone che non hanno esperienza di mare, ovviamente mettono a rischio vite umane".
Il padre spiega che non aveva altra scelta che mettersi in viaggio. La sua domanda d'asilo in Turchia era stata respinta due volte e temeva la deportazione in Afghanistan, un Afghanistan da cui era fuggito all'età di 9 anni. Voleva che suo figlio andasse a scuola, dove, a differenza di lui, avrebbe potuto imparare a leggere e scrivere e alla fine realizzare il sogno di diventare un agente di polizia. "Non sono venuto qui per divertimento. Sono stato costretto. Non avevo un'altra strada nella mia vita".