Diritto

Recesso per l’agente di commercio se si violano lealtà e buona fede

La sentenza 6915/2021 della Cassazione: vincolo con l'azienda più intenso rispetto ai dipendenti. A fronte di una maggiore autonomia risoluzione anche per fatti meno gravi

Nell’esecuzione dell’incarico l’agente deve tutelare gli interessi del preponente e agire con lealtà e buona fede.

Sulla base di tali obblighi, contenuti nell’articolo 1746 del Codice civile, con la sentenza n. 6915/2021 la Corte di cassazione ha ritenuto legittimo il recesso dal contratto di agenzia per giusta causa esercitato dalla società preponente nei confronti del proprio agente che, in costanza di rapporto, aveva contattato altri collaboratori del preponente nel tentativo di indurli a intraprendere con il medesimo «una nuova attività imprenditoriale nello stesso settore merceologico».

Dalla motivazione della decisione si rileva che all’agente, legato da un patto di non concorrenza post-contrattuale, era stata contestata la «violazione dei canoni di correttezza e buona fede cui deve essere improntata l’attività di collaborazione dell’agente, quale espressione del dovere di fedeltà di cui all’articolo 1746 del Codice civile».

La norma codicistica richiamata nella pronuncia impone innanzitutto all’agente l’obbligo di tutelare gli interessi del preponente per il quale è richiesto, in virtù dell’attività professionale esercitata, un grado di diligenza maggiore rispetto a quello generico del «buon padre di famiglia».

Inoltre, tale norma stabilisce che l’agente deve agire con lealtà e buona fede, ovvero deve astenersi dal porre in essere comportamenti pregiudizievoli per il preponente: comportamenti che non necessariamente violano norme specifiche, ma che sono comunque tali da ledere il rapporto fiduciario, facendo venire meno l’affidamento del preponente sul corretto adempimento della prestazione lavorativa da parte del proprio agente.

Sulla base di un orientamento costante che applica in via analogica l’articolo 2119 del Codice civile, relativo al licenziamento per giusta causa nel rapporto di lavoro subordinato, la Corte di cassazione ha precisato che nella valutazione della gravità del fatto occorre tenere in considerazione gli elementi tipici dei due rapporti (quello di lavoro subordinato e quello di agenzia), sì che nel rapporto di agenzia il vincolo fiduciario «assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato», e ciò in ragione della maggiore autonomia «di gestione» della prestazione resa dall’agente per «luoghi, tempo, modalità e mezzi» in funzione del conseguimento delle finalità aziendali.

A fronte di una maggiore autonomia è, dunque, sufficiente un fatto di minore gravità al fine di legittimare un recesso per inadempimento dell’agente.

Nel giudizio di merito era stato accertato il mero tentativo da parte dell’agente di stornare i collaboratori del preponente per avviare insieme a loro una nuova attività imprenditoriale in concorrenza: tanto è stato ritenuto sufficiente per affermare – correttamente - la sussistenza di una giusta causa di recesso sul presupposto della «violazione dell’obbligo di diligenza da parte dell’agente, ravvisabile in qualunque attività che possa nuocere al preponente», integrando l’iniziativa dell’agente un comportamento potenzialmente suscettibile di per sé di recare danno, e ciò a prescindere dal fatto che lo storno non si sia poi in concreto realizzato.

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