Caterina Stellato denuncia il compagno nel video: «Voleva salire in casa, se esce dal carcere mi ucciderà»

Giusi Fasano

Dopo 24 ore di botte gli ha preparato un caffè, gli ha sorriso e si è vestita per andare al lavoro. Ha guardato i suoi figli con l’angoscia nel cuore ed è uscita. Era l’ultimo giorno della sua prigionia. Caterina ha preso la bicicletta, ha girato l’angolo e ha cominciato a piangere, a telefonare, a chiedere aiuto. Stava scappando dal suo compagno e l’unico modo, l’unico momento per farlo era allontanarsi così come stava facendo, fingendo che fosse un giorno come un altro e uscendo dalla vita di quell’uomo senza nemmeno un cambio, una borsa, senza soldi.

Il rischio per salvare i suoi figli

Era il 23 novembre del 2020. Quel giorno Caterina Stellato, 40 anni, ha capito che doveva salvare se stessa per poter salvare anche i suoi figli da lui. «Lasciarli nelle sue mani è stata una scelta difficilissima, mi sono sentita lacerare l’anima» racconta. Ma a loro lui non aveva mai fatto del male, era lei il suo bersaglio fisso. Erano per lei i pugni, i ceffoni, i calci, i capelli strappati a forza di trascinarla e gli insulti irripetibili, e guai a provare a reagire.

L’affido dei figli e il divieto di avvicinamento

Caterina è fuggita e poi ha pianto giorno e notte per settimane finché un giudice le ha ridato i bambini (il 30 dicembre) e ha deciso che lui non meritava i loro sorrisi nemmeno una tantum: affido esclusivo a lei e divieto di avvicinamento alla casa dove si erano tutti trasferiti.

Il progetto di ucciderla

Ma per uno come Antimo Carrera l’ordine di un giudice è più o meno carta straccia. Così, dopo aver imposto a Caterina 25 anni di violenza indicibile, spesso consumata davanti ai loro tre bambini, ha stabilito che avrebbe continuato sulla stessa strada, giudice o non giudice. Come osava lei tenergli testa e addirittura non fargli vedere più i suoi figli? Meritava di essere ammazzata e lui l’avrebbe ammazzata: questo era il suo piano.

Le immagini

Nel video che l’altra sera è stato mandato in onda da Chi l’ha visto? lo si vede all’opera nell’arte, diciamo così, della rabbia incontenibile. Le immagini — girate da una telecamera che Caterina ha piazzato dopo le tre incursioni precedenti — sono del 10 febbraio. Arrivano come un pugno, potenti. Perché ogni azione, ogni espressione del viso di quell’uomo è livore puro, violenza senza rimedio.

Il tentativo di intrusione

Siamo in provincia di Napoli. Lui arriva sotto casa di lei (che è andata a vivere con i bimbi dai suoi genitori), tenta di scalare un tubo per arrivare alla finestra del primo piano, cade, ci riprova, ricade, si aiuta con un tavolino che trova in cortile ma ripiomba giù una terza volta. E allora urla, vomita parolacce sotto la pioggia mentre dentro Caterina e sua madre chiamano la polizia. Come ultimo gesto prima della resa lui rompe la telecamera. Poi se ne va, finalmente, prima dell’arrivo dei poliziotti (sarà poi arrestato).

«Mi vuole morta»

«Siamo state fortunate perché pioveva», racconta Caterina, «sennò non sarebbe scivolato e sarebbe arrivato alla finestra. Siamo vive per miracolo. Mi vuole morta e quando uscirà dal carcere verrà a cercarmi. Ho bisogno di cambiare città, casa, lavoro. Ho bisogno che lui non mi trovi mai e che i bambini crescano sereni. L’ho conosciuto che avevo 15 anni e ho sopportato di tutto per 25 anni in un crescendo di violenze. Mettevo le mani sulla testa per parare i pugni e aspettavo che finisse, ma prima o poi mi avrebbe dato il pugno mortale».

Violento ma con assegno di invalidità

Dopo il suo appello a Chi l’ha visto? sono arrivate centinaia di email che offrivano aiuto e lei ci spera: «Magari fra tutte c’è la soluzione giusta». Intanto per lui è fissata un’udienza il prossimo 27 aprile e i guai con la giustizia non sono legati soltanto a Caterina. Lo stesso giorno del video aveva picchiato brutalmente uno zio di lei incontrato per strada, un altro giorno in Comune aveva sfasciato l’ufficio degli assistenti sociali, in passato aveva alzato le mani su un avvocato. L’abitudine di fare ricorso alla violenza. Con determinazione, costanza e impegno fisico. E sì che incassa un assegno di invalidità e va dicendo di non poter lavorare per problemi a un braccio che lo rendono disabile. Non si direbbe mentre «scala» il tubo minacciando Caterina.

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