Il Venerdì

Che forza essere il Capitano

Pietro Castellitto nel ruolo di Francesco Totti. La serie Speravo de morì prima, in sei episodi, sarà dal 19 marzo su Sky Atlantic e in streaming su Now Tv (Maila Iacovelli-Fabio Zayed) 
Nella serie Sky "Speravo de morì prima" Pietro Castellitto è Francesco Totti nei suoi ultimi mesi da giocatore. "Interpreto l'uomo mentre capisce che gli anni ruggenti sono agli sgoccioli"
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Una posizione  invidiabile, in tutti i sensi. Pietro Castellitto rilascia l'intervista da una barca: appena rientrato da una gita al largo, è ancora a bordo. Sopra la testa, un boccaporto aperto fa intravedere un pezzetto di cielo azzurro come le prospettive del marinaio: un primo film da regista (I predatori) che ha vinto un premio all'ultima Mostra del cinema di Venezia e adesso il ruolo da protagonista in una delle serie più attese dell'anno. E che ruolo. Quello di Francesco Totti. 

La serie si intitola Speravo de morì prima (dal 19 marzo, sei episodi, su Sky Atlantic e in streaming su Now Tv, la regia è di Luca Ribuoli) ed è basata sull'autobiografia Un capitano scritta da Totti insieme a Paolo Condò. Racconta in particolare il campione negli ultimi, tormentati, diciotto mesi della sua carriera, un anno e mezzo prima di quell'addio al calcio giocato avvenuto nel 2017 che, non solo al diretto interessato, è sembrato più lo struggente epilogo di un'epoca che la semplice conclusione di una storia professionale unica: 25 anni nella stessa squadra, la Roma, premi, scudetto, trofei ma soprattutto una popolarità da rockstar.

Nella serie ci sono anche Gianmarco Tognazzi, che interpreta Luciano Spalletti, l'allenatore "on & off" della Roma con cui Totti ha avuto rapporti molto altalenanti, e Greta Scarano nel ruolo di Ilary Blasi, da 15 anni la moglie del Capitano e figura fondamentale nel momento di crisi e transizione verso una nuova vita. 

Francesco Totti in campo (Getty Images) 

Per Pietro Castellitto, 29 anni, questa serie è una grande occasione. Ovviamente, da quando ha iniziato a lavorare, prima come attore e poi anche come regista e sceneggiatore, Pietro è stato bombardato di domande sui suoi genitori (è il primogenito di Sergio e Margaret Mazzantini) e sui suoi esordi da ragazzino: del resto non capita a tutti di recitare con Penélope Cruz in un film (Venuto al mondo) diretto da tuo padre e tratto da un romanzo di tua madre. Ma da quando ha iniziato a girare Speravo de morì prima sono arrivate un mucchio di domande anche su Totti, a cui Pietro non poteva rispondere per non bruciare notizie su una serie che certamente incuriosisce tutti, anche i non romanisti, anche i non appassionati di calcio. Adesso, finalmente può.

Lei non somiglia a Totti, eppure è stato scelto. Come è andata?
"Ho fatto parecchi provini e inizialmente sembrava che per farmi più somigliante si sarebbero usati i prostetici, quei trucchi molto elaborati che mi avrebbero trasformato completamente in lui, come hanno trasformato Pierfrancesco Favino in Bettino Craxi e Daniel Day-Lewis in Abraham Lincoln. Io sono sempre stato contrario a questi prostetici. O meglio, penso che vadano bene solo per i personaggi morti o molto anziani. Se sei giovane il prostetico diventa subito una maschera pesante, ti invecchia. Totti è vivo e giovane, andava evocato, non copiato. Un po' come Mark Zuckerberg in The Social Network: lì non hanno messo prostetici a Jesse Eisenberg. A un certo punto, dopo vari provini durante i quali io avevo detto che usare i prostetici era una follia, non so bene che cosa sia successo, ma sembrava che non avrei più fatto la serie. Immagino siano stati visti attori più somiglianti. Però poi i produttori sono tornati da me. E recito con la mia faccia". 

Leggi anche l'intervista a Totti di Marco Cicala, dal Venerdì del 21 settembre 2018

Cosa li ha convinti?
"Credo che abbiano capito che la cosa importante non fosse trovare una perfetta somiglianza fisica ma catturare quell'essenza ironica di Totti, un aspetto che non puoi compensare con i trucchi. Il calcio oggi è molto industrializzato, la costruzione dei calciatori è una specie di catena di montaggio. Si sta perdendo l'aspetto romantico, quell'idea di talento naturale e di leggerezza di cui Totti è stato forse l'ultimo simbolo. È stato così amato non solo per la tecnica, la coordinazione e tutto quello che fa di un giocatore un campione, ma anche perché attraverso di lui, i tifosi si nobilitavano. Lui portava in serie A, in Champions League, ai Mondiali quella meravigliosa strafottenza tipica romana, oltre all'abilità di fare il mitico cucchiaio".

Interpretare un personaggio così popolare non le ha fatto tremare le gambe? Teme le reazioni dei tifosi?
"Premesso che uno non può avvelenarsi la vita tentando di controllare qualcosa di incontrollabile come il giudizio altrui, non avrei mai potuto rinunciare a questa opportunità. Mi sono sempre detto: anche se fallisco, devo essere io a fallire, non posso delegarlo a un altro. Sono cresciuto con il poster di Totti in camera, un poster alto due metri".

Pietro Castellitto (il primo, in basso a sinistra) da ragazzo allo stadio 

Come è andata quando lo ha incontrato?
"Siamo andati a pranzo al ristorante la Villetta, all'Aventino, lui sta sempre là. Il proprietario è un suo amico. È stato un pranzo di tre ore. Mi aspettavo un Totti pensante, perché per giocare come gioca lui devi avere un cervello molto attivo, però non pensavo che quella scaltrezza mentale corrispondesse anche a una grande loquacità, cosa che trapela pochissimo dalle interviste. Ho osservato i suoi gesti, guardato attentamente come mangiava, ma non ho fatto l'attore che studia il personaggio. Non me la sentivo, capisce? È Totti. Per me da piccolo rappresentava la perfezione, l'uomo più bello del mondo".

La cosa più importante che le ha detto in quelle tre ore?
"Ha parlato molto del suo rapporto con Spalletti perché, nella nostra serie, è lui l'antagonista, rappresenta proprio il cuore del conflitto narrativo".

Per quanto un tifoso possa sapere tutto del suo idolo, un'immersione come quella che ha fatto lei è un'esperienza unica. Che cosa ha scoperto di Totti?
"La serie non riprende il Totti che gioca, il Totti che conosciamo tutti, qui c'è Francesco che fa i conti con i fantasmi, con l'ansia del tempo che passa. Lo fotografiamo nel momento in cui arriva alla consapevolezza che tutta la sua vita così come è stata dovrà finire. Interpretarlo mi ha fatto percepire il baratro profondo che non solo uno come Totti, ma qualsiasi calciatore, qualsiasi uomo di incredibile successo, può vivere quando capisce che i suoi anni ruggenti sono agli sgoccioli".

Vale anche per gli attori, no?
"Sì, e ancora di più per le attrici. Infatti, se facessi l'attore e basta, io la vita non la sopporterei. Per fortuna c'è la scrittura. La scrittura si adegua al tempo, l'immagine ne è schiava".

Quindi, non farà più l'attore?
"Dopo il film di Gabriele Mainetti, che ormai ho girato due anni fa (Freaks Out, l'uscita è stata rimandata a causa della pandemia, ndr), ho rifiutato quasi tutto, tranne il prossimo film di Renato De Maria, un progetto per Netflix che si inizia a girare tra poco: interpreto un ladro nella Seconda guerra mondiale. Però fatico a conciliare il lavoro di attore con la scrittura. Ho bisogno di concentrazione e motivazione, ma so che la gestazione di un film è lunghissima. Infatti, gli ultimi mesi li ho passati pensando al prossimo film e scrivendo un libro".

Lavora tanto anche per combattere i pregiudizi sui figli d'arte?
"Essere figlio d'arte o magari anche solo di un dirigente televisivo ti può garantire una particina in una fiction ma non certo a trovare un produttore che ti faccia debuttare come regista, operazione ben più complicata. I fratelli D'Innocenzo, che stimo moltissimo, ci sono riusciti e non sono figli d'arte: sono bravi".

E lei che ambizioni ha?
"Voglio fare grandi cose, cose che smentiscano il pregiudizio, però so benissimo che l'Italia è piena di figli d'arte che lo alimentano perché non svettano. Aggiungo che il cinema, oggi, al 90 per cento, è composto da gente che non svetta, in generale, indipendentemente dal cognome che porta. Il cinema è diventato un mestiere normale, troppo normale, fatto da gente normale. Fa parte della decadenza dell'epoca che viviamo".

Intanto I predatori è stato considerato un debutto esplosivo, con recensioni che gridano al fenomeno. È anche considerato tra i favoriti ai David di Donatello. Non è troppa pressione per un esordiente?
"Diciamo la verità: c'è di peggio".

Sul Venerdì del 12 marzo 2021