Giù dal lettino

Affollamenti poco giudiziosi: il tempo e la piazza

A ogni cambio di colore regionale, cambia la nostra percezione del pericolo: appena scatta il giallo riprendono gli aperitivi, le feste negli appartamenti, i raduni nelle piazze

di Vittorio Lingiardi e Guido Giovanardi

3' di lettura

È passato un anno dall'avvento “ufficiale” del Covid-19 in Italia e dalle prime misure di lockdown. Nell'anniversario, la domanda che più ci inquieta, perché non ha una risposta, è: quanto tempo dovrà passare ancora? E in vista di cosa? Di quale “vita nova”?
La psicologia scientifica parla della pandemia come di un evento traumatico collettivo, definibile in base all'intreccio di diversi fattori di stress. Alcuni li elenca un articolo (https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp2008017) apparso sull'autorevolissimo New England Journal of Medicine: prognosi incerte, mancanza di risorse per lo screening dei casi, necessità di misure per la salute pubblica che limitano però le libertà personali, débâcle finanziarie, messaggi contraddittori delle autorità.


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Vivere questi mesi è un'esperienza che giorno dopo giorno mette radici nel nostro mondo interno e in quello sociale, facendoci sentire vulnerabili e impotenti, in una parola (inglese) helpless. Uno degli effetti di questa condizione è quello di attenuare il vissuto di efficacia delle nostre azioni, e di scombinare il nostro rapporto con il tempo. Non è facile, infatti, mantenere un'idea di continuità: in questa situazione priva di una prospettiva certa, il rapporto con un presente-futuro ogni tanto sembra impazzire. A ogni cambio di colore regionale, cambia la nostra percezione del pericolo: appena scatta il giallo, vengono rimossi gli obblighi che il rosso portava con sé e riprendono gli aperitivi, le feste negli appartamenti, i raduni nelle piazzette o lungo i canali.

Carpe diem

Tecnicamente, ricorrendo al linguaggio dei meccanismi di difesa che ormai i nostri lettori conoscono (https://www.ilsole24ore.com/art/psicoanalisi-anti-negazionista-ADjiZjz?refresh_ce=1), potremmo parlare di più o meno compromettenti acting-out. In alcuni, soprattutto tra i più giovani, sembra infatti prevalere l'individualismo improvvisato del “carpe diem”, quello che Boccaccio racconta così: «Altri […] affermavano il bere assai e il godere e l'andar cantando a torno e sollazzando e il sodisfar d'ogni cosa all'appetito che si potesse e di ciò che avveniva ridersi e beffarsi esser medicina certissima a tanto male».

Acting-out, si diceva: più o meno compromettente perché leggibile lungo un continuum che va dall'innocente e adolescente “non ce la faccio più” all'onnipotenza antisociale del “chissenefrega”. Al punto da poter affermare, con una battuta agrodolce, che i capelli che ci siamo strappati in tempi pre-pandemici, preoccupati per la claustrofilia dei nostri adolescenti social (giù giù fino al ritiro casalingo totale degli hikikomori, originariamente studiato nei ragazzi giapponesi), possiamo tranquillamente riattaccarceli.

Ritualità collettiva

Facendo le persone più serie, e ritornando nei ranghi della nostra professione, potremmo affermare che ai nostri adolescenti (e tardo adolescenti, alcuni fino ai quaranta e oltre!) che si riversano nelle piazze degli happy hours, mancano i momenti della ritualità collettiva. Lasciando da parte gli over 25, che ci sembra abbiano altri “problemi”, c'è sicuramente anche in gioco un senso identitario di adolescenze che sbaglieremmo a bistrattare. In che senso? Mettendoci nei panni di genitori “sufficientemente buoni”, se da una parte ci sembra giusto richiamare questi figli all'ordine delle regole comuni, dall'altra ci sembra importante riflettere sul loro bisogno di incontri e presenze che nemmeno anni di social networking sono riusciti a domare.

Parlare di una “protesta”, più o meno consapevole, per La scomparsa dei riti (dal titolo del breve saggio del filosofo Byung Chul-Han, edizioni nottetempo) causata dalla vita sui social, è decisamete troppo, ma prendere lo spunto per riflettere su quanto sia difficile tenere gli altri come presenze vive in noi anche quando non possono essere presenti, ci sembra un esercizio quanto mai necessario in giorni come questi. Per ribaltare un famoso adagio psicoanalitico, i tempi sono ahinoi propizi per imparare ad acquisire la “capacità di essere insieme in assenza dell'altro”, necessaria quanto il suo opposto winnicottiano, cioè la “capacità di essere soli in presenza dell'altro”. Capacità psichiche entrambe importanti per abitare questo tempo incerto che chiede la prudenza del presente nell'attesa del futuro.

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