Esteri

L'addio alla politica di Nigel Farage, il re degli euroscettici: "Fatta la Brexit, non ho più obiettivi"

Nigel Farage 
"Non parteciperò più a elezioni o battaglie politiche", ha annunciato al Daily Telegraph. Ma il leader non uscirà di certo dalla scena pubblica
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LONDRA - "È fatta, è finita". Nigel Farage lascia la politica. Il re dell'euroscetticismo britannico, raggiunta e completata la Brexit dopo oltre trent'anni di dura opposizione, straordinarie critiche e sceneggiate al Parlamento europeo dal 1999 al 2020, non ha più obiettivi: "Non parteciperò più a elezioni o battaglie politiche", annuncia il 56enne leader al Daily Telegraph, "mi sono dimesso anche da leader di Reform Uk", ossia il suo nuovo partito lanciato mesi fa sulle ceneri dello stesso Brexit Party, "sarò soltanto un presidente onorario. Ma non avrò più alcun ruolo attivo in politica".

Si chiude dunque un'era, e la carriera politica di un leader controverso e criticato, in Europa e in Regno Unito, ma che ha sempre avuto il suo zoccolo duro di pubblico, elettori o semplici seguaci Oltremanica, pur non riuscendo mai a essere eletto al Parlamento britannico, anche per il sistema elettorale ultra-maggioritario su base distrettuale. A livello "proporzionale" e nazionale, però, Farage ha spesso ottenuto ottimi risultati, come alle elezioni europee del 2014 e del 2019, quando prima il suo partito di estrema destra Ukip e poi il Brexit Party vinsero clamorosamente quelle consultazioni, ponendo una pressione enorme a livello politico: sette anni fa, quel suo trionfo scatenò il panico tra i conservatori e in tutto il centrodestra britannico, spianando la strada al referendum della Brexit cui lui e la sua piattaforma "Leave.eu" fornirono un contributo decisivo per la vittoria finale euroscettica. Nel 2019, invece, l'oltre 30% del suo Brexit Party alle europee arrivò proprio mentre la prima ministra Theresa May annunciava la sue dimissioni, per essere rimpiazzata da Boris Johnson e dalla sua "Brexit dura", usata come arma anche per calmare gli animi tra i suoi colleghi "tories" sempre più attratti dal manicheismo di Farage.

"Ma stavolta non torno più indietro, basta", promette Farage al Telegraph nonostante non sia certo estraneo a dietrofront in passato: "Sono riuscito ad ottenere l'indipendenza del mio Paese con la Brexit, anche se non è l'accordo migliore, né per l'Irlanda del Nord e nemmeno per i pescatori. Ma va bene così, ora non ho altri obiettivi politici". Ma attenzione, perché l'euroscettico massimo inglese non uscirà certo dalla scena pubblica. Farage si ripromette di partecipare al "dibattito, anche perché ho un buon numero di follower", 1,6 milioni soltanto su Twitter: "Sono stato demonizzato tutto il tempo, ma alla fine sono diventato mainstream!". 

Almeno nelle intenzioni espresse, sono due gli argomenti che interesseranno ancora a lungo Nigel Farage e per cui farà campagna attiva: o meglio, secondo lui sono due minacce "ancora più pericolose della nostra appartenenza all'Ue". La prima: "L'influenza del regime comunista della Cina sul nostro Regno Unito e nel mondo, che deve essere bloccata e limitata il prima possibile perché è un attacco alla nostra libertà, ci vogliono conquistare, e lo vediamo che cosa stanno facendo alla democrazia di Hong Kong". Secondo: "L'ideologia woke", ossia, secondo Farage e molti a destra, il "politicamente correttissimo" e "la riscrittura della nostra storia", in nome dell'antirazzismo e del "revisionismo" di movimenti come Black Lives Matter: "Sono cose per cui i nostri bambini vengono indottrinati sin dalla tenera età a scuola e questo non è più accettabile. Sarò sempre in prima linea nelle "culture wars"", le guerre culturali. 

Insomma, di questo istrione politico britannico ne sentiremo parlare ancora a lungo, nonostante il suo annunciato addio. Del resto, Farage si porta sempre dietro un'aura di inossidabile invincibilità dopo due eventi che "mi hanno cambiato la vita": in passato è sopravvissuto a un incidente aereo e pure a un tumore. In carriera, Farage ha sempre aizzato gli istinti più automatici e talvolta torbidi degli elettori, come per esempio l'evidente e dirompente xenofobia, le sue crociate contro l'immigrazione decisive nella campagna referendaria per la Brexit, le sue spedizioni mediatiche contro i migranti sbarcati dalla Manica. Tutto ciò insieme a una demagogia "pronta per l'uso", sempre e comunque, ed essere costantemente sulla cresta dell'onda dell'indignazione nazionalista, anche se poi due dei suoi quattro figli non hanno perso un attimo a farsi il passaporto tedesco, dopo la Brexit.

Ma è anche vero che Farage, con la sua debordante demagogia, è stato uno dei politici più scaltri del Regno Unito dell'ultimo mezzo secolo. O si ama o si odia: accattivante per un certo fronte di elettori, repellente per tutti gli altri. Ai comizi raramente ha sbagliato un colpo, con quel suo stile ultra-tradizionalista, dai calzini rossi e i pantaloni a coste fino alle immancabili pinte di birra che negli ultimi tempi ha ridotto insieme al whisky. E poi Farage conosce bene l'Italia, a Milano è stato broker finanziario per anni, insieme al suo sodale milionario Arron Banks, con il quale è stato accusato di ricorrere a Cambridge Analytica per il referendum Brexit (ma non sono mai state ritrovate prove decisive). Di certo, sempre con Banks, si rivolse a Casaleggio e ai Cinque Stelle per rivitalizzare la sua nuova creatura Brexit Party. A proposito, lui ne è sempre convinto: "Alla fine tutti capiranno che la Brexit è stata la scelta migliore e anche Francia, Germania e Italia usciranno presto dall'euro e dall'Ue". Profezia o ennesima, oltraggiosa provocazione della sua carriera?