Territorio, famiglia, identità: i valori della nuova moda italiana
Marco Rambaldi, Salvo Rizza, Federico Cina. Tre giovani designer dall’approccio artigianale e sentimentale nel creare abiti raccontano da dove arrivano le loro ispirazioni. E dove portano
Gianni Versace pensava alle donne che frequentavano l’atelier della sua mamma, Saint Laurent alle bambole di carta che creava insieme alle sorelle. Degli stilisti che nel muovere i primi passi hanno attinto dai loro ricordi è rimasto un ricordo indelebile. E sarà che il 2020 ha portato molti a guardarsi indietro e riscoprire le proprie origini oppure per un’indole generazionale, ma tre dei nomi più rilevanti della nuova moda italiana – Marco Rambaldi, Salvo Rizza di Des Phemmes e Federico Cina – attingono dal loro passato.
Nuova moda italiana, la tradizione contemporanea
Le loro collezioni per la primavera estate 2021 sono state protagoniste delle fashion week di stagione, merito di una versione digitale dell’evento che prova a utilizzare il tempo risparmiato in spostamenti e logistica per dare più spazio ai giovani. Tradizioni e artigianalità, ma anche donne come pilastri e legami con il territorio: un mix di competenze e sentimenti nostrani che tracciano la strada della moda di domani.
«Sono nato a Sarsina, un paesino in provincia di Forlì Cesena. Lì passavo le giornate con i nonni, che mi portavano sempre tra i vigneti e i campi. Una delle tradizioni era ovviamente il pranzo della domenica con tutta la famiglia: mia nonna cucinava e adornava la tavola con lunghissime tovaglie tipiche della Romagna, stampate con colori naturali e a disegni di vite, uva, galletto e melograno. Ancora oggi si usano gli stampi in legno del 1600 e la tecnica può essere utilizzata solo su tessuti organici. Ho deciso di portarla sui miei abiti, stampando a capo finito per preservare la bellezza del disegno. È la trasposizione esatta del mio tentativo di portare i valori della famiglia contadina nel mondo nella moda, per creare qualcosa di poetico» racconta Federico Cina nell’illustrare le stampe a tinta blu e ocra su camicie, pantaloni e T-shirt.
Oggetti e ricordi
I nonni sono ricorrenti anche nei pensieri di Marco Rambaldi. «I posti dove sono cresciuto appartengono alla provincia di Bologna, ho ricordi di infinite campagne dell’Emilia. Mio nonno ha fatto entrambe le guerre e ha sempre lavorato i campi, i suoi abiti si adeguavano ai lavori che doveva svolgere ma era sempre elegantissimo, anche quando stava in casa: cappello in testa, pantalone di velluto a coste, camicia in tinta unita azzurra o con micro fantasie e poi l’immancabile smanicato a maglia con bottoni davanti. D’inverno sempre maglioncino scollato a V e paltò (come lo chiava lui), il Loden. La mia bisnonna invece lavorava sempre all’uncinetto e ai ferri, sarà forse venuta da qui la mia passione per la maglieria? Tengo sempre sul divano una coperta che aveva realizzato lei, ha degli accostamenti di colori incredibili e spesso la uso come riferimento per i miei disegni».
Identità al centro
E sono le donne protagoniste dell’infanzia a dare forza e ispirazione anche a Salvo Rizza, siciliano. «Sono cresciuto con due figure femminili molto diverse eppure complementari: mia madre è forte all’esterno e fragile all’interno, mia sorella lotta contro una fragilità dovuta a una condizione patologica con una grandissima forza interiore. E poi ci sono le amiche con cui sono cresciuto e quelle che ho incontrato lungo la strada: mi nutro dei loro gesti e dei loro pensieri, le mie collezioni si evolvono con le loro vite».
Anche Rambaldi parla delle amiche, una in particolare. «Io e Giulia Geromel ci siamo laureati insieme allo Iuav di Venezia e, dopo aver fatto le nostre esperienze, ci siamo riuniti nel 2017 per iniziare questo folle progetto». E cita anche la mamma che lo ha spinto a partecipare al concorso Next Generation quando era ancora studente e Leila Palermo e Sara Sozzani Maino che l’hanno supportato fin dai primi passi.
I tre designer non pensano a una sola donna quando disegnano, prendono piuttosto quei caratteri che hanno conosciuto e li trasformano in un’idea di moda libera. «Quello che faccio lo faccio per tutte e per tutti, che sia uomo o donna, una figura più giunonica o filiforme» dice Rizza. Stesso approccio per Cina, «creo abiti che coprono uno sviluppo taglia ampio, perché per me non esistono identità o limitazioni». E così Rambaldi: «Un abito può e deve essere qualcosa che ci rende liberi. Non voglio costringere in stereotipi, anzi, cerco di dare vita ad abiti che aiutino a tirare fuori chi siamo davvero. Ecco perché quando creo non penso a un’identità specifica ma più a un atteggiamento, a qualcosa di vero che appartenga al mondo in cui viviamo».
iO Donna ©RIPRODUZIONE RISERVATA