Gli operatori sanitari che rifiutano il vaccino anti-Covid e poi si contagiano in corsia hanno diritto alle tutele previste per l’infortunio sul lavoro: ad esempio l’indennità economica e l’assistenza sanitaria a carico dello Stato, o il mancato conteggio dei giorni di malattia nel periodo di comporto. Ma potrebbe essere loro negato il risarcimento del danno da parte del datore. A dirlo è la Direzione centrale rapporto assicurativo dell’Inail (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), rispondendo al quesito posto dalla Direzione territoriale di Genova sul caso di 15 infermieri del Policlinico San Martino, che a gennaio avevano contratto il Sars-CoV-2 dopo aver scelto di non ricevere la dose di vaccino Pfizer loro destinata . Comportamento censurato dal neo-direttore generale dell’ospedale, Salvatore Giuffrida, che aveva chiesto al direttore dell’Inail locale Marco Quadrelli “se si riconduca all’infortunio sul lavoro, con conseguente applicazione delle relative tutele, l’ipotesi in cui il personale contragga il virus senza aver aderito alla profilassi vaccinale”.

Il dirigente genovese, “in virtù della complessità e delicatezza della problematica evidenziata”, aveva subito girato la domanda alla sede centrale dell’istituto, accompagnata però – come scritto dal fattoquotidiano.it – da una nota in cui si dichiarava favorevole a ricondurre la fattispecie all’infortunio sul lavoro: se rifiutare il vaccino è un diritto – era il ragionamento – non se ne può far discendere una conseguenza penalizzante. Ed è proprio questa la linea sposata da Roma: “Sotto il profilo assicurativo, per giurisprudenza consolidata – si legge nella lettera firmata dal direttore centrale Agatino Cariola – il comportamento colposo del lavoratore, tra cui rientra anche la violazione dell’obbligo di utilizzare i dispositivi di protezione individuale, non comporta di per sé l’esclusione dell’operatività della tutela prevista dall’assicurazione gestita dall’Inail”. Insomma, è infortunio sul lavoro anche se l’infermiere non utilizza per colpa un dispositivo di protezione obbligatorio: e quindi a maggior ragione se la protezione mancante è facoltativa, come nel caso del vaccino.

Tuttavia, prosegue la lettera, “il comportamento colposo del lavoratore può invece ridurre oppure escludere la responsabilità del datore di lavoro, facendo venir meno il diritto dell’infortunato al risarcimento del danno nei suoi confronti, così come il diritto dell’Inail ad esercitare il regresso nei confronti sempre del datore di lavoro”. Resta da vedere se, nell’applicazione concreta, la scelta di non vaccinarsi sarà considerata una colpa idonea a escludere il risarcimento. Il documento esplora anche l’ipotesi che il rifiuto della dose configuri un cosiddetto rischio elettivo, cioè un comportamento volontario e irragionevole del dipendente, svincolato dalla normale attività lavorativa, che conduce all’infortunio. “Il rifiuto di vaccinarsi – scrive l’Inail – non può configurarsi come assunzione di un rischio elettivo, in quanto il rischio di contagio non è certamente voluto dal lavoratore”. Inoltre, si legge, “non si rileva, allo stato dell’attuale legislazione in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, un obbligo specifico di aderire alla vaccinazione da parte del lavoratore”.

“Da dirigente non posso che rimettermi alle indicazioni dell’ente competente”, commenta al fatto.it il dg del San Martino Giuffrida. “Da cittadino però mi chiedo se è normale che da un lato ci spendiamo per portare i vaccini dei Paesi in via di sviluppo, dall’altro permettiamo che i nostri operatori sanitari rifiutino di proteggersi. Abbiamo anziani che accorrono in massa per vaccinarsi, forse perché hanno vissuto tempi diversi, in cui le cure non erano scontate Poi però siamo noi stessi a dare il cattivo esempio”. Al termine della prima fase della campagna, dice, erano quasi 500 gli infermieri dell’ospedale che avevano scelto di non vaccinarsi, quasi tutti in assenza di condizioni patologiche che lo sconsigliassero. “È logico che con questi numeri non si possono tenere i non vaccinati lontani dalle corsie”, spiega, “perciò credo bisognerebbe ragionare davvero sull’introduzione dell’obbligo per i lavoratori della sanità. Io, nel mio piccolo, ho cercato di porre il problema. E un po’ ha funzionato, visto che dopo la lettera all’Inail un’ottantina di infermieri hanno cambiato idea. È un problema latente, che prima o poi andrà affrontato”.

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