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Borse ancora ad alta tensione, ma la paura dei listini può essere salutare?

L’aumento dei tassi di interesse dei Treasury è di sicuro l’elemento scatenante degli episodi di volatilità delle ultime settimane. Ma febbraio chiude positivo: +6% a Piazza Affari

di Maximilian Cellino

(Reuters)

4' di lettura

Non è una questione di livello, ma del tempo che si impiega per raggiungerlo. L’aumento dei tassi di interesse dei Treasury, i titoli di Stato Usa (e di riflesso dei bond governativi a livello globale) è di sicuro l’elemento scatenante degli episodi di volatilità che hanno interessato i mercati azionari e in generale le attività a rischio nelle ultime settimane. A preoccupare non è però tanto il balzo fino all’1,5% del decennale americano (dopo qualche puntata oltre 1,60%), quanto la rapidità con cui si è arrivati fino a questo punto, e il fatto che i movimenti più recenti non siano stati accompagnati da un aumento parallelo delle aspettative di inflazione. In altre parole, a crescere sono stati i tassi reali, che è un po’ come iniettare veleno nelle arterie dei mercati.

L’ONDA LUNGA DI WALL STREET IN EUROPA
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Visto dalla prospettiva delle Borse, il fenomeno si è tradotto in un’ondata di vendite che, escludendo il vuoto d’aria di fine gennaio, rappresenta l’episodio di volatilità più pronunciato dopo lo scoppio della pandemia e il successivo (ma momentaneo) ritracciamento avvenuto fra settembre e ottobre. Niente di allarmante sotto l’aspetto dei numeri in sé: ieri Piazza Affari ha ceduto lo 0,93% e ha chiuso la seconda settimana consecutiva al ribasso, ma il mese di febbraio appena terminato presenta un bilancio ampiamente positivo, con un rialzo complessivo che sfiora il 6 per cento. Wall Street dopo il giovedì nero ha chiuso in rlalzo di qualche decimale, con il Nasdaq oltre il +1% a pochi minuti dalla chiusura.

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Il problema sta anche in questo caso nella rapidità della successione delle situazioni che si stanno proponendo agli investitori, il cui posizionamento riflette prospettive ottimiste per i prossimi sei mesi e appare ancora piuttosto sbilanciato verso l’azionario e in generale nei confronti dei mercati a rischio. «La percentuale di “tori” tra gli investitori Usa è tornata al 47%, dieci punti in più rispetto a inizio febbraio», nota Stefan Scheurer di Allianz Global Investor, citando i dati dell’American Association of Individual Investors e spiegando soprattutto che il miglioramento dell’umore si è tradotto in una rincorsa ai fondi azionari.

«Nelle scorse 16 settimane - aggiunge infatti Scheurer - si sono registrati flussi netti in entrata pari a 370 miliardi di dollari, mentre oltre 900 miliardi restano “parcheggiati” nei fondi globali del mercato monetario». E il fatto che, secondo l’ultima indagine di Bank of America, i gestori abbiano ridotto la percentuale detenuta in liquidità al 3,8%, cioè al livello più basso da marzo 2013, porta l’analista a porre qualche interrogativo: «Questi dati - avverte ancora Scheurer - dovrebbero far riflettere gli investitori perché mostrano un sentiment tutt’ora estremamente positivo e pronto per un’inversione di tendenza».

A tentare di placare le acque che minacciano tempesta sono ancora una volta chiamate le Banche centrali, Federal Reserve Usa e la Banca centrale europea in primis. Finora i due presidenti, Jerome Powell e Christine Lagarde, hanno avuto il loro bel da fare nell’invitare a mantenere i nervi saldi, come dimostra anche l’impennata del Bund (-0,26%) e in chiave italiana il BTp decennale allo 0,76% (con spread Italia-Germania di nuovo oltre 100 punti base). «Se i fattori tecnici del mercato spingeranno ancora al rialzo i rendimenti e i commenti delle Banche centrali non riusciranno a placare i movimenti si rischia di avere un mese di marzo agitato», lamenta Mark Dowding, capo degli investimenti di BlueBay.

Certo, a sentire gli esperti di mercato non è detto che questo particolare mini-ciclo rialzista sui tassi non sia già arrivato agli sgoccioli, prevedere i tempi e gli sviluppi del fenomeno resta in ogni caso difficile. «E se i rendimenti decennali Usa dovessero invece muoversi rapidamente verso l’1,75% - mette in guardia Dowding - allora non saremmo sorpresi di assistere a un crollo dell’S&P 500 del 5% o più, in grado a sua volta di innescare un ritracciamento dei bond corporate e dei mercati emergenti».

In situazioni come queste la cautela è ovviamente d’obbligo, non manca però chi pensa che la pausa dei listini azionari sia in qualche modo salutare (ancorché dolorosa) e che gli effetti della ripresa economica sulle imprese possano funzionare da migliore antidoto al veleno iniettato dal rialzo dei tassi. «Una crescita forte e sostenibile degli utili aziendali dovrebbe limitare gli effetti negativi indotti dall’aumento dei rendimenti obbligazionari», rassicura Christian Stocker, strategist sull’azionario di UniCredit, che per questo motivo non si aspetta «una pressione duratura sui mercati azionari, ma un periodo di maggiore volatilità con l’arrivo della primavera». Il duello tra i pessimisti e chi, invece, prevede un altro giro di giostra sui listini è evidentemente destinato a rinnovarsi in eterno.

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  • Maximilian CellinoRedattore

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: italiano, inglese, tedesco

    Argomenti: Mercati finanziari, politiche monetarie, risparmio gestito, investimenti, fonti alternative di finanziamento, regolamento del sistema finanziario

    Premi: Premio State Street 2017 per il giornalista dell'anno - Categoria Innovazione

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