ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùil modello inglese

Vaccinare con una sola dose? Ecco quali sono i pro e i contro

L’ipotesi di diluire nel tempo la somministrazione del siero viene sempre più pragmaticamente accolta come una possibilità utile nell’immediato. Ma per i critici, in Italia come altrove, sarebbe un’incognita non senza conseguenze in mancanza di dati

di Nicola Barone

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3' di lettura

Se stentano ad arrivare i vaccini, nelle quantità necessarie, «dare la priorità alle prime dosi» come suggerito dal premier Mario Draghi potrebbe essere una soluzione tampone, in attesa di sviluppi favorevoli dal lato della produzione. Vista con contrarietà quasi assoluta all’inizio, l’ipotesi guadagna terreno presso la comunità scientifica man mano che arrivano riscontri obbiettivi dalle campagne in atto. In buona sostanza, per quella strada, si otterrebbe il risultato di vedere aumentato del doppio il numero di persone vaccinate ottenendo una protezione significativa. Tuttavia si tratterebbe di una digressione rispetto ai trial validati: non solo non è noto quanto potrà durare la copertura assicurata dalla prima iniezione, ma va tenuto in conto l’effetto moltiplicatore sull’emergere di varianti potenzialmente connesso a una protezione nei soggetti non assoluta. In vista di una posizione ufficiale è stata avanzata all’Aifa richiesta di approfondire tecnicamente la questione.

Viola: un gravissimo errore come in Inghilterra

La proposta del premier Mario Draghi di dare intanto a tutti una prima dose di vaccino anti Covid è azzardata? «Assolutamente sì, è un gravissimo errore, così come è stato un grave errore quello del Regno Unito. Non possiamo giocare a dadi con la salute delle persone, ci dobbiamo basare sui fatti», taglia corto l’immunologa dell’Università di Padova Antonella Viola. «Abbiamo vaccini con un’efficacia altissima, che mantengono il titolo anticorpale alto a lungo però devono essere somministrati nel modo giusto. Se abbiamo fretta, rischiamo di non proteggere le persone e facilitare la generazione di varianti». Il punto in gioco per Viola è «capire se siamo un Paese che applica una medicina basata sull’evidenza, sui dati, o se siamo un Paese che segue una medicina basata sull’intuito e l’esperienza. L’idea di vaccinare con una sola dose è un’idea intuitiva, ma non è in questo momento supportata da dati scientifici».

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Rezza: finchè possibile meglio due. Galli: sì con scarso entusiasmo

Qualche spazio di possibilità viene aperto dal direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza. Naturalmente viene ribadita «la strategia ottimale» di utilizzare il vaccino secondo i dati che vengono dai trial clinici e cioè con la doppia dose. «Il razionale di vaccinare con una sola dose è poter coprire in breve una maggiore quantità di popolazione. Direi che finchè c’è la possibilità di avere una doppia dose è la cosa migliore. Ma tenere conto in modo pragmatico di diverse opzioni è del tutto legittimo». Sebbene con scarso entusiasmo dice di sì anche il primario infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli. «I dati che vengono dall’esperienza israeliana sdoganano quella che è stata l’esperienza inglese, che è partita in maniera aprioristica sulla cosa. Gli israeliani ci hanno portato dati su grandi popolazioni, che dicono che la risposta alla prima dose già garantisce abbastanza, relativamente alla risposta immunitaria necessaria per contrastare l’infezione». Ma servirebbero eventualmente dei paletti. «Sui più anziani e le persone immunodepresse, per gli altri ci si può transitoriamente accontentare della prima dose, sapendo con una certa chiarezza che toccherà poi controllare in linea di prospettiva».

Le evidenze dall’esperienza israeliana

Una ricerca dello Sheba Hospital di Tel Aviv pubblicata su Lancet e condotta su 7mila operatori sanitari vaccinati evidenzia una riduzione dell’85% dei casi sintomatici di Covid tra i 15 e i 28 giorni dalla prima dose del vaccino. Se si considerano anche gli asintomatici, l’infezione si riduce del 75%. Tutto questo, ha osservato Arnon Afek, vice direttore del Centro medico dell’ospedale, «conferma la validità della decisione del governo inglese di cominciare a vaccinare i propri cittadini con un’unica dose».

Esperti divisi anche nel Regno Unito

Nel Regno Unito il fatto di aver dilazionato la seconda dose del vaccino anti Covid di Pzifer ha spaccato in due la comunità scientifica, come segnalato in un recente articolo sul British Medical Journal. A fine dicembre è stata annunciata la decisione di estendere a 12 settimane l’intervallo tra le due dosi, nonostante nei test clinici fosse di 21 giorni, per proteggere il maggior numero di persone a rischio nel minor tempo possibile riducendo il carico sul servizio sanitario. Al consenso della Società britannica per l’immunologia (sarebbe improbabile un effetto negativo dallo spostamento del richiamo sulla risposta complessiva del sistema immunitario) si è opposto lo scetticismo dell’Associazione dei medici britannici che ha scritto al chief medical officer Chris Whitty per chiedere di riportare l’intervallo a 6 settimane (42 giorni), seguendo le indicazioni dell’Oms. Vista la drammaticità dei problemi dinanzi ai Paesi, la raccomandazione è stata di ritardare la seconda dose per un breve periodo di tempo, massimo di 42 giorni. Seguendo queste indicazioni Danimarca, Francia e Germania hanno stabilito di iniettare la seconda dose del vaccino tra le 3 e 6 settimane dopo la prima.

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