25 febbraio 2021 - 23:12

Messa: punto al 35 per cento di giovani laureati in 5 anni. Campus e più prof con i fondi del Recovery plan

Il programma del neo ministro dell’Università e ricerca: nuove lauree per le professioni, mobilità per i ricercatori e certezze per le carriere. In arrivo la nomina del presidente del Cnr

di Gianna Fregonara

Messa: punto al 35 per cento di giovani laureati in 5 anni. Campus e più prof con i fondi del Recovery plan
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Cristina Messa - medico, professore ed ex rettore dell’Università Bicocca di Milano - da due settimane è ministro dell’Università e non ha perso tempo: ha già scelto i vertici di tre enti di ricerca (Ingv, Inrim e Area Science Park di Trieste) e si avvia ad affrontare la questione più complicata della nomina del presidente del Cnr: «Sto valutando se scegliere tra i tre nomi rimasti della cinquina che era stata selezionata più di un anno fa o se chiedere un nuovo elenco visto che i criteri sono cambiati. Ma farò in fretta».

Tra le emergenze di questi mesi c’è anche quella della ripresa delle lezioni in presenza nelle Università.

«Tutti i rettori vorrebbero riaprire le loro aule, ma la situazione - lo dico anche da medico - consiglia cautela. Mi auguro che dopo il 6 aprile anche gli Atenei possano tornare verso la normalità».

Come sarà l’Università dopo gli investimenti con gli 11 miliardi del Recovery Plan destinati al suo ministero?

«Innanzitutto spero che in cinque anni il numero di laureati possa crescere dall’attuale 27,6 per cento (tra i giovani fino a 34 anni) almeno fino al 35 per cento. Purtroppo scontiamo un grande ritardo: avremmo dovuto arrivare al 40 per cento lo scorso anno secondo gli obiettivi europei».

Come si fa?

«Investiremo per fornire ad un numero maggiore di giovani percorsi universitari più adeguati al futuro. Penso alle lauree interdisciplinari, senza percorsi rigidi ma che mischino le diverse materie dei dipartimenti perché oggi le sfide che abbiamo davanti richiedono competenze in più discipline. E credo che vada dato più spazio anche alle soft skill nel curriculum. Sono già al lavoro anche per creare corsi di laurea innovativi e legati al mondo produttivo».

Oltre agli Its di cui ha parlato Mario Draghi nel suo discorso al Senato?

«Con i ministri Colao e Bianchi stiamo studiando un piano per gli Its ma immagino anche laure innovative che siano collegate al mondo produttivo, per l’ingegneria e anche per il turismo».

Che differenza c’è tra gli Its e queste lauree?

«Questi sono percorsi accademici veri e propri, triennali, legati anche alla ricerca».

Che fine fanno le lauree triennali vere e proprie, quelle della riforma Berlinguer?

«Restano ma oltre la metà degli studenti con la triennale poi si iscrive alla magistrale, quindi andrebbero ripensate».

Per aumentare gli immatricolati ci vogliono anche misure per il reddito.

«Con fondi del Recovery plan le Università potranno costruire nuovi campus per accogliere gli studenti. Ma penso anche a borse di studio per i meritevoli o chi ha bisogno. Credo anche che per aumentare gli studenti bisognerà aumentare i docenti. Un solo dato: in Gran Bretagna il rapporto professori studenti è uno a dodici, da noi uno per 35».

Investire nelle materie stem è uno degli obiettivi di questo governo: come si fa a convincere le ragazze a studiare ingegneria e informatica?

«Ci vuole più orientamento nelle scuole superiori: purtroppo è anche un problema culturale. Per esempio, io gli studenti che vogliono fare medicina li porto in reparto prima che scelgano: è un metodo infallibile».

Capitolo ricerca: l’Italia arranca, con l’1,4 per cento del Pil destinato al settore. Che cosa prevede nel Recovery plan?

«Siamo 27esimi in ambito europeo: servirebbero almeno 50 mila nuovi ricercatori. Scontiamo anni di sottofinanziamento, discontinuità dei progetti e disorganizzazione. Una prima soluzione a portata di mano è quella di favorire la mobilità dei ricercatori tra Università. Enti di ricerca e privati. Questo potrebbe rendere più attivo e competitivo l’intero sistema: questo vuol dire adeguare gli stipendi e le carriere, ma anche sburocratizzare, far circolare i ricercatori, rendere tutto più trasparente».

Ogni anno quando vengono annunciate le borse europee Erc, in Italia è polemica:anche i ricercatori italiani vanno all’estero per fare ricerca.

«Ho chiaro il problema. Per attrarre ricercatori servono infrastrutture, laboratori e certezza della carriera».

Medicina, aumenteranno ancora i posti, o saranno 13.500 come lo scorso anno?

«Resteremo su quella cifra. Il problema al momento sono le specializzazioni: ancora oggi abbiamo quasi quattrocento posti liberi perché ci sono alcune specialità molto importanti, come anestesia e igiene, per le quali non ci sono candidati».

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