Pietro, intanto complimenti per la Prada Cup. Poi, il patron Patrizio Bertelli dice che sei la rivelazione di questa coppa. Che la quadratura del cerchio, trovando il modo di far parlare te e i due timonieri ha aumentato del 20% le performance di Luna Rossa...

Il randista e stratega della barca italiana ride. Quarantun anni, ligure nato ad Albenga e cresciuto ad Alassio, moglie e due figli (Sofia di 15 anni, Francesco di 12), gli inizi in Optimist e 470, poi il 49er col fratello Gianfranco, le Olimpiadi di Atene e pechino (maledetta onda, che lo fermò), la qualificazione ai Giochi di Londra e il Coni che gli nega il pass a causa di una diagnosi di un angioma al cervello forse congenito, nonostante i pareri confortanti degli specialisti (nessuna compromissione neurologica), la risalita con il Melges, il Moth e il GC32 e con Luna Rossa, nel 2014. E ora, la Prada Cup vinta ad Auckland.

Ti faranno piacere le parole di patron Bertelli.

“Be’, lo ringrazio per le sue parole e la sua stima. Quel che abbiamo fatto è semplicemente un lavoro di squadra. Abbiamo cercato di migliorarci, cercando di sfruttare al meglio le qualità che abbiamo a bordo e piano piano sono stato più coinvolto nella tattica e ringrazio davvero anche i ragazzi per aver saputo tirare fuori il meglio delle mie capacità”.

In pratica, tu indovini il vento.

“Diciamo che do una mano a Checco Bruni e Jimmy Spithill, i due timonieri, a guardare fuori dalla barca, a cercare il vento. Insieme, poi, possiamo prendere le decisioni migliori”.

Ti vediamo in regata in piedi dietro la randa soprattutto con andatura di poppa.

“Sì, è soprattutto in poppa. Poi durante tutto l’arco della gara do una mano a guardarci intorno, segnalo a Checco e a Jimmy le mie preferenze su un lato piuttosto che un altro, ma poi sono loro a prendere la decisione finale su dove posizionarsi rispetto all’altra barca”.

I timonieri sono fissi, seduti uno per lato e di fatto riescono a vedere poco sul lato opposto al loro perché c’è la randa, la vela principale, che è come un muro. Anche se ci sono delle finestrelle.

“Puoi vedere attraverso la finestra l’ombra della barca avversaria, capire l’angolo con cui si avvicina, ma le raffiche di vento non di sicuro. Il mio ruolo è anche quello di fare da link tra la destra e la sinistra. C’è anche da considerare che il timoniere dei due che non timona quando si vira diventa il controllore del volo della barca e perde un po’ il quadro del vento, sente la conversazione tra me e l’altro timoniere, magari interviene ma è super concentrato sul volo. Io, muovendomi da un lato all’altro, ho invece una visione più ampia del campo di gara”.

Sei anche addetto alla regolazione della randa. Quando fai lo stratega alla vela chi ci pensa?

“Il timoniere che timona mi sostituisce attraverso un comando che ha sul timone e che gli consente di controllare il carrello della randa”.

Questo schema ha funzionato. Non è stato subito così, però. Alle World Series...

“Sì, vero. Nelle World Series io ero più concentrato sulla randa, io ogni tanto parlavo della performance, ma erano soprattutto i timonieri che si guardavano intorno. Ora abbiamo aggiustato un po’ il tiro”.

Parliamo di Team New Zealand. In Italia è girata voce che stiano provando anche loro il doppio timoniere (i Kiwi smentiscono).

“L’abbiamo sentita anche noi questa voce rimbalzare dall’Italia. Qui ad Auckland non l’abbiamo visto (ride). Loro hanno un solo timoniere, Peter Burling, che quando manovra passa da una parte all’altra e cede il timone Glen Ashby. Magari stanno pensando ad avere transizioni più lunghe”.

Sono barche nate quasi simili, quella dei Kiwi e di Luna Rossa, poi sono state sviluppate separatamente. Loro come li vedi?

“Li vedo molto bene. Sono gli unici che hanno fatto un passo in più a livello aerodinamico con i due spazi esterni che richiudono l’equipaggio. E poi, hanno un foil a T, mentre noi quasi a Y: loro sembra si siano direzionati sulla velocità pura della barca soprattutto su vento medio e forte. Noi pensiamo di avere qualcosa di più con vento leggero e manovre. Saranno forti, sappiamo che dobbiamo dare il massimo per avere una possibilità di batterli. Daremo tutto fino all’ultimo metro”.

Pietro, il tuo cursus velico è eccezionale. Olimpiadi, barche acrobatiche. C’è stato l’episodio dei Giochi di Londra negati dal Coni per l’angioma. La Prada Cup per te è una rivincita?

“Devo dire grazie a Max Sirena che ha creduto in me. Quando tutto è andato storto sarebbe stato facile dimenticarmi, lasciarmi per strada. Invece lui è stato bravo a scommettere su di me e gliene sono grato. Non vedo tutto ciò come una rivincita, però, ma come un percorso che è andato avanti, grazie alla mia passione e al piacere di fare questo sport. Se mi guardo indietro posso dire, questo sì, di essere soddisfatto di come sono riuscito a rialzarmi e di aver dimostrato che ce l’ho fatta”.

E’ la tua seconda campagna con Luna Rossa.

“Sì, la prima è stata la campagna di preparazione per l’edizione 2017, che abbiamo interrotto a metà quando ci siamo ritirati. Ero performance coach e trimmer non titolare, adesso sono passato titolare”.

E’ importante arrivare dalle classi olimpiche?

“Molto. Se si vede i personaggi principali di tutti i team, a parte Spithill e Dean Barker, che erano già al top nel match-race, tutti gli altri vengono dalle classi olimpiche. Penso sia la scuola migliore, soprattutto con queste barche, che valorizzano ancor più le qualità di chi proviene dalle Olimpiadi”.

Sei nato ad Albenga, cresciuto ad Alassio: dove vivi quando non sei in giro per il mondo?

“Da quando abbiamo la base a Cagliari mi sono trasferito con mia moglie e i miei figli in Sardegna. Viviamo nell’entroterra del capoluogo”.

La Sardegna e la Liguria non sono agli antipodi.

“No, e poi c’è il mare che avvicina. In Liguria comunque, torno quando posso: ad Alassio c’è mio fratello, ci sono gli amici. E poi, quando sento un po’ di saudade, vado a Carloforte e mi ritrovo”.

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