20 febbraio 2021 - 14:54

Luca Coscioni moriva 15 anni fa: l’ultima battaglia nel nome della bambina farfalla

Il 20 febbraio 2006 la Sla uccideva, a 38 anni, l’attivista radicale che si batteva per la libertà della ricerca. La nuova sfida per l’accesso pubblico e gratuito alla diagnosi preimpianto a fianco dei genitori della piccola Camilla: «Lo dobbiamo per tutti i papà e le mamme»

di Peppe Aquaro

Luca Coscioni moriva 15 anni fa: l'ultima battaglia nel nome della bambina farfalla Luca Coscioni con Marco Pannella
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«Le nostre esistenze hanno bisogno di libertà per la ricerca scientifica. Ma non possono aspettare. Non possono aspettare le scuse di uno dei prossimi Papi». È anche questo, Luca Coscioni, scontroso, combattivo, amabile e ribelle. Come tutte le persone che non possono mandare giù le ingiustizie e non smettono di sognare per provare a cambiare le cose. Dell’esperto di Economia e soprattutto dei diritti per tutte le persone, oggi ricorrono i quindici anni dalla sua morte. Una fine avvenuta troppo presto, a soli 38 anni, a causa della sclerosi laterale amiotrofica (Sla), ma con tante battaglie vinte, alcune perse e altre che potranno essere vinte. Perché, già con lui, dopo di lui ed oggi, c’è l’Associazione Luca Coscioni a proseguirle, quelle battaglie per la libertà della ricerca scientifica.

Le battaglie

E nella giornata di oggi, sabato 20 febbraio, l’associazione no profit di promozione sociale, fondata nel 2002 dallo stesso economista umbro, ha pensato bene di fare il punto sulla libertà di ricerca di scienza, salute e autodeterminazione. «Un giorno, il mio medico potrà, lo spero, dirmi: Prova ad alzarti, perché forse cammini», raccontava Luca, con la sua voce metallica fino ad un attimo prima di una tracheotomia rifiutata con autodeterminazione. Una scelta che lo porterà alla morte. E nel nome di una battaglia contro le ipocrisie della ricerca scientifica, continua a muoversi la sua associazione: il Consiglio generale proporrà oggi un pacchetto referendario per il prossimo anno su temi che vanno dall'eutanasia, alle droghe, passando dalla riforma del diritto di famiglia, l'aborto, la gestazione per altri.

La storia di Camilla

Nel corso del Consiglio, sono previsti dieci interventi-testimonianze, sicuramente molto toccanti. Come quello di Giulia Schenetti, modenese, moglie di Christian Riccioni e madre di Camilla, la bambina nata il 20 dicembre del 2017 dopo una normalissima gestazione. Una storia per la quale sarebbe stato pronto a battersi Luca Coscioni. Una di quelle storie che si concretizzano nella mancanza di libertà nel godere dei benefici del progresso scientifico. «Camilla era appena nata, e mio marito viene chiamato dai medici. Gli chiedo cosa sia successo, e lui mi fa: hanno riscontrato delle bolle sulle dita delle mani della bimba. In quel momento mi è caduto il mondo addosso», ricorda Giulia, laureata in Biotecnologia medica e con molti esami di genetica alle spalle: è bastato poco per capire la condanna di quella malattia rara, epidermolisi bollosa (EB) più nota come malattia dei «Bambini Farfalla».

«Una malattia bastarda»

«Ad oggi, non esiste una cura risolutiva per questa malattia, e le più concrete speranze sono riposte nella terapia genica, sperimentata per la prima volta al mondo a Modena dal team del professore Michele De Luca, direttore del Centro di medicina rigenerativa ‘Stefano Ferrari’ dell’Università di Modena e Reggio Emilia», racconta la mamma di Camilla, la quale aveva svolto la tesi di laurea con lo stesso De Luca e per questo decide di rivolgersi a lui. Per la piccola saranno nove mesi di un vero e proprio calvario, tra la terapia intensiva fino alla fine del 2017 e infine il ritorno a casa, negli ultimi giorni di gennaio del 2018. «L’epiodermolisi bollosa è una malattia bastarda: io avevo davanti mia figlia perfettamente sana che mi riempiva di sorrisi e di gioia, ma ogni volta che compiva un movimento non controllato, tipico di un bambino piccolo, si feriva. Una ferita che le sarebbe guarita molto lentamente, nel migliore dei casi in una ventina di giorni, lasciandole una brutta ustione aperta sul corpo vulnerabile alle sovrainfezioni».

Nel nome delle bimbe

«Camilla era di vetro, basti pensare che i primi venti giorni di vita aveva lesioni pari al novanta per cento della superficie corporea». C’erano giorni buoni, potremmo dire tranquilli, nei quali sembrava che la bambina stesse meglio. Fino a quell’11 settembre del 2018: «Camilla, con quel suo sorriso stupendo sapeva renderci quasi normali i giorni più duri: poi, una mattina, si è spenta, sotto i nostri occhi. Con lei siamo morti anche noi». Ma non la voglia di fare qualcosa per la loro Camilla e per tutti gli altri «Bambini farfalla». Il destino ha voluto che, sempre nel dicembre del 2017, fosse nata un’altra Camilla, a Genova, con la stessa forma aggressiva della malattia della bimba di Giulia e Christian. Nel loro ricordo è stata fondata l’associazione «Le ali di Camilla» per promuovere la ricerca scientifica e la presa in carico sanitaria nel campo dell’epidermolisi bollosa e di altre malattie epiteliali potenzialmente trattabili con terapie avanzate a base di cellule staminali.

La speranza nella ricerca

«Le cellule staminali epiteliali, se corrette geneticamente in laboratorio e trapiantate sul paziente, possono portare a risultati straordinari per la cura della malattia», racconta Giulia, la quale ricorda il caso di Hassan, il bambino siriano affetto da epidermolisi bollosa, nella forma cosiddetta «giunzionale», proprio come Camilla, curato e guarito dal professor Michele De Luca, con cellule staminali prelevate dalla cute. E qui si inserisce una storia nella storia, un’altra battaglia da vincere per l’associazione Luca Coscioni, e che riguarda il desiderio dei due ragazzi modenesi di avere un altro figlio, con la richiesta di accedere alla diagnosi preimpianto (Giulia e Christian subito dopo la nascita di Camila avevano scoperto di essere portatori sani di una mutazione genetica, ndr), tecnica non disponibile attraverso il Servizio sanitario nazionale, e dunque non accessibile ai più, ma indispensabile per affrontare una nuova gravidanza in sicurezza.

«Noi genitori grazie a un test»: 599 bambini nati grazie alla diagnosi preimpianto
La relazione in Parlamento

Fecondazione assistita

Come si sa, nel nostro Paese, la fecondazione assistita è autorizzata esclusivamente per le coppie sterili, e la diagnosi preimpianto è solo attuabile privatamente. «Ci siamo rivolti ancora una volta al professor De Luca, il quale è anche co-presidente dell’associazione Luca Coscioni, e siamo entrati in contatto con l’avvocato Filomena Gallo, segretaria nazionale della stessa associazione: siamo andati avanti per un anno con il trattamento, ma non è andata come speravamo», raccontano Giulia e Christian, ricordando quanto sia complicato l’iter che hanno dovuto affrontare: «A luglio del 2019, tre dei miei cinque embrioni risultavano affetti da patologie, mentre gli altri due erano portatori sani: però, non è andata a buon fine».

L’appello

Con l’arrivo delle ferie estive, una normale interruzione delle cure, ma tanta paura di condurre una gravidanza a rischio: «Ad agosto ho scoperto di essere incinta, in modo naturale: è partita una serie infinita di indagini cliniche e finalmente, verso la fine di ottobre del 2019, ho scoperto di aspettare un bimbo, portatore sano di malattia genetica». Quel bambino lo hanno chiamato Andrea. E quando sarà un po’ più grande, gli racconteranno della sorellina: «Il vuoto che ci ha lasciato Camilla non sparirà mai, ma vorremmo provare a riempirlo con la nostra battaglia affinché sia possibile accedere nelle strutture pubbliche per questa indagine diagnostica in modo diretto o indiretto. Lo dobbiamo a tutte le coppie che ne hanno bisogno».

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