29 gennaio 2021 - 21:56

Grazia Pinna, la prima donna arbitro (nel calcio dilettante): «In campo rispondevo per le rime agli insulti»

Oggi 78enne, l’esordio a Firenze nel 1979. «Diventare professionista? Ma no»

di Roberta Scorranese

Grazia Pinna, la prima donna arbitro (nel calcio dilettante): «In campo rispondevo per le rime agli insulti»
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Certo, gli insulti arrivavano anche a lei, come a tutti gli arbitri. Ma il punto è che Maria Grazia Pinna rispondeva, eccome. «Una volta uno dagli spalti urlò: “Sarai brava a letto” e io risposi: “Sì, però non con te”. Mi sgridarono: un arbitro non deve mai rispondere». Ma Pinna, all’epoca trentaseienne, prima donna a scendere in campo in Italia con una divisa arbitrale, non riusciva a contenersi. «Ero fluviale — racconta, oggi che di anni ne ha 78 —, accettavo le sfide, rispondevo per le rime a chi mi mandava a quel paese. Non lasciavo mica cadere gli insulti».

L’articolo del «Corriere» del 1979

Dal «Corriere»
Dal «Corriere»

Sì, questa donna alta e tenace, nata a Carloforte, in Sardegna, nel 1942 e giunta a Firenze (fresca sposa) a soli diciotto anni, oggi dichiara fieramente: «Sono stata la prima donna arbitro in Italia». Lo documentano anche numerosi articoli giornalistici dell’epoca, incluso un pezzo del «Corriere della Sera» che presentava «La prima donna fischietto». Ovviamente parliamo di partite di campionato amatoriale (oggi «dilettanti»), perché in quel 1979, anno del suo debutto in campo, il regolamento del calcio professionistico non ammetteva le donne in quel ruolo chiave. Però lo permetteva la Uisp, Unione Italiana Sport Per tutti. Ed è stato proprio attraverso i corsi Uisp che Pinna ha potuto vestire la divisa. Nera, come si usava.

Il corso con la Uisp

«Ero rimasta vedova — racconta — e avevo due figli, uno dei quali di nome Omar, come il grande Sivori. Sono stata appassionata di calcio sin dalla giovinezza in Sardegna, cresciuta, come molti altri, con il mito di Gigi Riva. Poi quando mio marito morì mi sono ritrovata a gestire da sola un bar a Campi Bisenzio, alle porte di Firenze. Un giorno, con alcuni amici, decidemmo di dare il nome del bar ad una squadra amatoriale». E lì cominciò tutto, perché Grazia andava al campo da gioco e contestava animatamente le decisioni dell’arbitro, finché il poveretto, stremato, si girò verso di lei e sbottò: «E allora vieni tu a fare questo lavoro». Pinna non se lo fece ripetere. Si iscrisse al corso Uisp e quel 18 febbraio del 1979, quando diresse la sua prima partita, ricorda che faceva molto freddo.

Il rossetto

«In campo c’erano due squadre di ragazzini, ma era pieno di giornalisti, almeno duecento — racconta —. Il giorno dopo tutti scrissero della “prima donna arbitro in Italia”. Però, vede, al rossetto non rinunciai, nemmeno in gara». E perché? «Perché non volevo travestirmi da maschio, come tutti si aspettavano. Volevo che quel giorno, a dirigere la partita, ci fosse la stessa donna che ogni mattina si alzava e apriva il bar. Grazia Pinna, una donna che il rossetto lo metteva eccome». L’esordio di Pinna ebbe una straordinaria eco sulla stampa, che preparò il suo ingresso in campo con numerosi articoli nei giorni precedenti. Tanto che, alla vigilia, lei venne chiamata a «tenere a battesimo» un allenamento della nazionale Under-18 degli Azzurri a Coverciano, arbitrando per un quarto d’ora. Non solo.

Il sostegno delle femministe

Nel giorno del suo esordio Pinna non era sola: come riportò Giuseppina Manin sul «Corriere della Sera», un gruppo di femministe si piazzò sugli spalti per garantirle sostegno. «Il primo maschio che oserà dirti qualcosa dovrà vedersela con noi», le dissero. Andò tutto bene. Naturalmente negli anni ci sono stati degli sfottò. Naturalmente sono stati inventati insulti ad hoc («Uno urlò che avevo le gambe storte, ma lo fulminai: avevo gambe perfette»). Naturalmente qualcuno ha alzato il sopracciglio, specie negli ambienti del calcio professionistico. Ma Grazia ha tirato dritto, non rinunciando alle sue famose provocazioni. «Una volta un collega mi fece capire che ci avrebbe provato con me. Lo incrociai nello spogliatoio e gli dissi: “be’, non ci provi?” Scappò via come un coniglio».

Anche paracadutista

Poi le dissero che lanciarsi con il paracadute è emozionante e lei volle provare. «Feci il corso e quando andai a fare il primo lancio a Capannori, in Lucchesia, ebbi una sorpresa: la mia gemella Vittoria si era iscritta alle lezioni e quel giorno si lanciava per la prima volta, come me». Poi Pinna è diventata anche sommelier e ogni anno va in Africa a fare volontariato. Oggi si gode la pensione a Firenze e ogni tanto ripensa a quel giorno del febbraio 1979. Ma non ha mai desiderato la tessera da professionista? «No. Io mi divertivo così».

rscorranese@corriere.it

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