MILANO. L’allarme lanciato dalla Fondazione Gimbe questa mattina era stato forte e aveva preoccupato molti, vista anche la scarsità di dosi di vaccino anti Covid prevista per le prossime settimane: in Lombardia, aveva detto la Fondazione guidata da Nino Cartabellotta, «il 51 per cento delle dosi di vaccino sono andate a personale non sanitario». Il dato più alto della penisola. Sul podio, ma ben distanziati dalla Lombardia, c’erano finiti anche la Liguria, con il 39 per cento, e la provincia autonoma di Bolzano con il 34 per cento. In tutta Italia, la quota di dosi finite al personale non sanitario – una categoria che formalmente non era compresa nella fase 1 della campagna vaccinale del commissario Domenico Arcuri – era il 22,3 per cento: in pratica, più di una dose su cinque è finita, in queste settimane, nel braccio di persone che non sono né medici né infermieri. Ma per la Lombardia quella quota del 51 per cento non c’è: è del 21,1 per cento, in realtà.

Il presidente Cartabellotta, che ha chiarito a La Stampa che i dati su cui si basa la rielaborazione arrivano dal «sito della Primula che li ha in open access», aveva commentato il dato spiegando che «se da un lato una parte del personale non sanitario risulta essenziale per il funzionamento di ospedali ed altre strutture sanitarie, dall'altro i numeri riportati dal piano vaccinale per operatori sanitari e socio sanitari (1.404.037) corrispondono a tutti gli iscritti agli albi professionali, più gli operatori socio-sanitari: questo evidenzia una discrepanza tra numeri previsti dal piano e le diverse policy vaccinali attuate dalle Regioni». In altre parole, «se la categoria “operatori sanitari e socio sanitari” deve includere tutto il personale che lavora negli ospedali a qualsiasi titolo – dato richiesto alle Regioni dal Commissario Arcuri lo scorso 17 novembre – le dosi previste dal piano vaccinale non sono sufficienti perché rimangono esclusi tutti i professionisti sanitari che non lavorano presso strutture pubbliche».

Ma come ha spiegato anche ieri l’assessora al Welfare di Regione Lombardia, Letizia Moratti, la Lombardia ha scelto di vaccinare, nella fase 1, «tutti gli operatori a qualunque titolo presenti in una struttura ospedaliera», per questo il target della campagna prevede per la fase 1 340 mila persone, di cui 320 mila sono quelle che hanno aderito (la quota che non ha aderito è legata a impossibilità, come ad esempio, gravidanza, allattamento, Covid in corso o da poco guarito, patologie, vaccino antinfluenzale fatto di recente, ecc ecc). In risposta alla Fondazione Gimbe è arrivato il chiarimento di Regione Lombardia: «In merito alla ricostruzione fornita dalla Fondazione Gimbe, si sottolinea che questa non è coerente con l’attività vaccinale realmente svolta e comunicata al Ministero della Salute da Regione Lombardia: ad oggi Regione Lombardia ha effettuato oltre 256 mila vaccini anti covid. Di questi, più di 172 mila, cioè il 67,2 per cento, sono stati somministrati ad operatori sanitari di strutture pubbliche, private, medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e liberi professionisti, 30 mila (11,7 per cento) a ospiti di strutture sanitarie e sociosanitarie». E in merito al personale non sanitario, la Regione ha spiegato che «sono 54 mila, cioè il 21,1 per cento gli operatori non sanitari che lo hanno ricevuto». In questa categoria rientra il personale che opera nelle aziende ospedaliere pubbliche, private, gli enti e le strutture accreditate o autorizzate nell’ambito del Servizio Sanitario regionale. «Il personale vaccinato – chiariscono da Palazzo Lombardia - rientra quindi nelle categorie indicate dalla struttura commissariale, per la prima fase della campagna. Si evidenzia che ad oggi oltre 24 mila su 320 mila soggetti hanno completato il ciclo vaccinale con il secondo richiamo».

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