REMOTE WORKING

Fuga dalla città: quando lo smart working da un piccolo borgo vale più della carriera

Secondo uno studio commissionato da Citrix alla società di ricerche OnePoll il 53% dei lavoratori accetterebbe (o ha già accettato) una diminuzione di stipendio in cambio della possibilità di operare in una location alternativa alla propria abitazione cittadina

di Gianni Rusconi

Foto Ansa

3' di lettura

Fra le tante incertezze legate al perdurare della pandemia di Covid-19 per molti italiani si è via via consolidata un'abitudine che segnerà probabilmente ancora per molto le loro abitudini quotidiane: il lavorare da casa. Per scelta o (e riguarda la maggior parte dei casi) per rispondere a precisi obblighi aziendali, il remote working è divenuto una prassi e non sono pochi coloro che, dalla scorsa estate in avanti, hanno cavalcato l'idea di trovare una location alternativa alla propria abitazione cittadina per continuare a svolgere la propria professione. Chi nelle seconde case di campagna, al mare o in montagna; chi in alloggi ricavati in agriturismi o ville destinate solitamente alle vacanze e ancora chi ha scelto la tranquillità di piccoli borghi che stanno cercando nello smart working (dalla Lunigiana a Montepulciano per arrivare al progetto smart village di Santa Flora, piccolo centro alle pendici del Monte Amiata) una soluzione per rinnovare la propria offerta turistica sperimentando nuove forme di hospitality.

Viene meno l'importanza della carriera

Uno studio commissionato da Citrix alla società di ricerche OnePoll e realizzata su un campione di mille lavoratori attivi sul territorio italiano ha provato a mappare questo fenomeno, cercando di capire le ragioni che potrebbero spingere molti lavoratori e professionisti a “scappare” dalle città per trasferirsi a tempo determinato in un differente domicilio. Il luogo in cui si vive, questa una delle prime verità emerse dall'indagine, sembra essere diventato meno importante per quel che riguarda le opportunità di carriera e di crescita professionale, e la scelta di abbandonare la città (o comunque la maggiore propensione a poterlo fare) è la diretta conseguenza di questo cambio di approccio. Tanto più che la possibilità di tornare alla propria abitazione in ogni momento e di soggiornare per periodi lunghi in una casa in affitto (anche fuori dalla propria Regione) è prevista dalle disposizioni contenute nell'ultimo Dpcm.

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Un lavoratore su tre cerca posti più tranquilli

Fra gli indicatori più sorprendenti contenuti nella ricerca ne spiccano in particolare due: la percentuale, pari al 57%, degli intervistati che afferma di essere disposto a trasferirsi dalla città a un'area rurale se potesse continuare a svolgere il proprio lavoro in modo flessibile e da remoto e quella, che sale addirittura al 76%, di coloro che, lasciando l'abitazione principale, pensano di poter continuare a svolgere la propria professione ovunque. Più di un lavoratore su due (il 53%), inoltre, conferma che accetterebbe (o ha già accettato) una diminuzione di stipendio in cambio della possibilità di operare completamente da remoto, senza alcun vincolo geografico. La percezione del lavoro, come osservano gli esperti, è quindi sempre più slegata da un luogo fisico specifico e lo testimonia il fatto che le persone interessate a un trasferimento a causa del Coronavirus (fra chi l'ha già fatto e chi ha in programma di farlo) sono il 39% del totale. Do questi, più di un terzo vuole andare a soggiornare in luoghi più tranquilli e cerca un costo della vita più basso, mentre più di un quarto è convinto del fatto che la pandemia abbia dimostrato loro di poter lavorare ovunque essi si trovino. E se prima del Covid-19, il 55% dei lavoratori pensava che vivere in una grande città avesse effetti positivi sulla carriera, oggi è di questo avviso solo il 36% mentre il 13% pensa che possa addirittura avere un effetto negativo. Quanto alle “destinazioni” maggiormente preferite da chi è pronto alla fuga dalla città, prevale la scelta di un centro più piccolo in circa il 12% dei casi (un ulteriore 6% pensa di poter seguire questo indirizzo anche cambiando anche Stato) seguita dalla possibilità di spostarsi in una zona urbana più periferica e da quella di trasferirsi in aree rurali.

I vantaggi del lavoro da remoto

Il cambiamento legato allo smart working che molti lavoratori sono pronti ad affrontare, conclude infine lo studio, non va ad incidere a detta dei diretti interessati sul livello di produttività (che viene giudicato più elevato nella maggior parte dei casi) e genera vantaggi di vario genere, fra i quali la maggior sostenibilità ambientale di questo stile di vita (lo sostiene il 50% degli intervistati favorevoli a muoversi). Secondo Francesca Parviero, esperta di Digital learning e people experience, “lo smart working rappresenta l'evoluzione naturale di una cultura del lavoro che cambia e innova, con un impatto sociale virtuoso”. E c'è un aneddoto, a suo dire, che conferma questo nuovo paradigma. “L'estate scorsa, a Caorle, la città di provenienza di mio marito, molti nostri amici che vivono come noi lontano dai luoghi dove sono cresciuti e rientrano solo per le vacanze, si sono trasferiti in questa località per stare con i figli al mare, lavorare ed essere liberi di fare pause o passeggiate, stando a contatto con genitori e conoscenti nelle rispettive case di famiglia”. E allora perché, suggerisce l'esperta, non provare a vivere tutto l'anno questo modello di ritorno alla socialità?


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