25 gennaio 2021 - 17:11

Povertà, le nuove code da Covid:
ecco gli aiuti per chi è in difficoltà

Logistica d’avanguardia, tracciamento, distribuzione. Le organizzazioni assistenziali come Emergency, Caritas e il Banco Alimentare si sono «reinventate». Obiettivo: far fronte alla crescente domanda di cibo

di Paola Pica

Povertà, le nuove code da Covid: ecco gli aiuti per chi è in difficoltà
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Sullo schermo nel suo ufficio di via Santa Croce a Milano millecinquecento segnalatori rossi colorano la cartina della città, dal centro alle periferie: i puntino sono le famiglie che ricevono da Emergency la spesa alimentare e di prodotti per l’igiene. «Il necessario per una settimana a un nucleo di quattro persone. Ogni mese ricontattiamo le famiglie, per sapere come stanno e valutare se sono n grado di uscire dal programma o meno» dice Marco Latrecchina, coordinatore di Nessuno Escluso, il primo progetto di Emergency fuori dall’ambito sanitario. L’onda alta della povertà da precarietà ha incontrato una risposta senza precedenti dell’intero Terzo settore. Che ha saputo aggregare nuovi soggetti, tanti giovani, e fare un salto collettivo di efficienza e «accountability» riconosciuto dalle istituzioni. Racconta Latrecchina: «Non ci sostituiamo a chi si occupa da sempre di sfamare l’umanità, offriamo quello che sappiamo fare in emergenza: 1. Accesso, tutti devono poter ricevere aiuto. 2. Triage, valutazione della vulnerabilità 3. Tracciabilità, lavoriamo sulla nostra piattaforma digitale sappiamo tutto del cibo in transito e del suo corretto arrivo a destinazione».

I numeri della povertà in impennata
Della riorganizzazione in corsa sui nuovi bisogni di chi prima della crisi poteva ancora sbarcare il lunario, mettere i figli a tavola e pagare le bollette, fanno esperienza le migliaia di reti territoriali in tutto il Paese. Reti di aiuto di ultima generazione che rispondono a nuove fragilità: le code per il pane vanno allungandosi con l’affacciarsi, a fianco degli ultimi, dei nuovi «penultimi», colf e commesse, lavoratori dello spettacolo e dei centri sportivi, non di rado insegnanti di scuole private. Salvamamme, l’associazione nata a Roma una ventina di anni fa per le donne e i loro bambini vittime di violenza domestica ha allargato il raggio d’azione fino ai papà separati, agli anziani, alle intere famiglie . E accanto allo storico trolley, la valigia di salvataggio «per non tornare indietro» che contiene tutto l’occorrente per madre e figli nelle prime 72 ore in fuga, Salvamamme distribuisce ora pacchi alimentari. Spiega Gabriella Salvatore, criminologa dell’associazione: «In pochi mesi abbiamo quadruplicato l’attività, reinventandola per lavorare in sicurezza in sede e nelle consegne a domicilio, o in ospedale, dove recapitiamo pigiami e altro. Alle famiglie forniamo pacchi alimentari per una decina di giorni, in relazioni sempre monitorate e protocollate».

Lo sforzo di Banco Alimentare e Caritas
Il Banco Alimentare uno dei principali fornitori di derrate ha visto crescere del 40%, quest’anno, le richieste delle circa 8 mila strutture caritative servite, una rete che a sua volta assiste 2,1 milioni di persone, tra nuovi poveri e indigenti cronici. In certe zone le famiglie precipitate in povertà sono cresciute anche del 200% come è avvenuto nel profondo Nord della zona di Cernusco sul Naviglio dove da 34 sono balzati a 134 i nuclei che in questo caso la Caritas sta mettendo in sicurezza. Il presidente del Banco Giovanni Bruno conferma come molte nuove realtà di aiuto si siano messe in movimento in questi 10 mesi, solo il Banco Alimentare ne ha accolte 500 in più. «Ma se la risposta è stata fin qui straordinaria - avverte Bruno - non è sempre automatico che quando aumenta la domanda di beni materiali aumenti di conseguenza l’offerta. Specie quando le risorse, come in una pandemia, vengono drenate dal settore sanitario. E quello che è potuto accadere in Italia è frutto di un’alta specializzazione. Non bastano i soldi - argomenta il presidente del Banco - e nemmeno le donazioni di cibo. Bisogna saper recuperare, conservare, stoccare, distribuire, tracciare». Dal tir di frutta e verdura donato dal produttore al piatto dell’indigente i passaggi della logistica non sono secondi a quelli della grande distribuzione. Nel 2019 il solo Banco Alimentare ha gestito 75mila tonnellate di cibo che nel 2020 sono salite a 95mila. Del numero di coperti ci si può fare un’idea considerando che l’unità di misura convenzionale di un pasto è il mezzo chilo.

La paura della fine del blocco dei licenziamenti
La preoccupazione di Giovanni Bruno, come del resto quella dell’intero Terzo settore, è sul «cosa accadrà con la fine del blocco dei licenziamenti e l’avvio alla precarietà di un milione di persone, il numero è una stima di Confindustria». Intanto si fanno i conti con le risorse a disposizione in Italia e in Europa e qui il quadro si fa complesso. Ma vale la pena di approfondire. Come sono costruiti il sacchetto della spesa gratuita di Pane Quotidiano e il pranzo alla mensa della Caritas? O, ancora, le 120 cene calde che ogni sera, dal lunedì al venerdì, il food truck di Progetto Arca offre ai senza fissa dimora con il cestino di colazione e pranzo del giorno seguente? Le donazioni di derrate delle aziende, il recupero delle eccedenze o dei prodotti in scadenza e il sostegno economico di Fondazioni o filantropi privati sono fonti importanti, non le uniche. L’aiuto materiale si avvale di finanziamenti pubblici dell’Europa e dello stesso governo italiano. Nel primo caso, Bruxelles, il 2020 è stato l’ultimo dei sette anni del Fead (Fund for european aid for the most deprived) che quest’anno - ma la discussione è ancora in corso - verrebbe assorbito dall’Esf + (European social fund plus). L’ obiettivo del «merger» è di integrare i bisogni alimentari con quelli di inclusione sociale. Un passaggio anche culturale importante promosso dalla presidente della Ue von der Leyen in «My Agenda for Europe». La fusione Fead-Esf, però, sembra portare con sé una diversa distribuzione delle risorse, in misura minore destinate all’alimentazione, e una novità digitale assai controversa. «Diciamo - spiega ancora Bruno - che ci sono correnti di pensiero diverse. Si pensa, a Bruxelles, a introdurre i voucher con i quali i bisognosi possano far la spesa al supermercato.

Le reti sul territorio
Ma le reti sul territorio, insieme al cibo, offrono la relazione e lavorano alla ricostruzione del tessuto sociale. Una cosa ben diversa! Per combattere la povertà non basta conoscere i bisogni, bisogna conoscere i bisognosi». Accanto al fondo europeo, i cui finanziamenti 2014-2020 faranno sentire i loro effetti fino al 2023, c’è il cofinanziamento italiano. Negli ultimi sette anni, ai 670 milioni circa attribuiti dalla Ue all’Italia (uno dei Paesi con il più alto tasso di povertà e di stanziamenti comunitari) il governo ne ha aggiunti 118 circa. Nell’annus horribilis 2020, però, lo sforzo nazionale è stato ben più ampio con circa 300 milioni aggiuntivi contenuti nei decreti Cura Italia e Rilancio 2. E va riconosciuto all’ex ministra Teresa Bellanova di aver blindato il meccanismo circolare che lega la spesa alimentare per i poveri al sostegno della filiera agroalimentare italiana.

Gli aiuti nella manovra economica
Altri 40 milioni di aiuti per il 2021 sono stati inseriti nella manovra economica. Le risorse italiane A gestire i flussi sono da una parte il ministero del Lavoro (che riceve i fondi) dall’altro il ministero dell’Agricoltura che attraverso il braccio operativo Agea gestisce acquisti e bandi. Le grandi realtà come Caritas, Croce Rossa, o lo stesso Banco, si approvvigionano direttamente da Agea (Agenzia per le erogazioni) e poi trasferiscono le derrate alle strutture accreditate che sono oggi complessivamente più di 10 mila. Ogni risorsa va impiegata nei tempi previsti e rendicontata e sottoposta ad audit e sebbene il Terzo settore abbia mostrato capacità e trasparenza di gestione, molto del lavoro resta in capo agli uffici della pubblica amministrazione. Da qui la proposta sostenuta da Giampaolo Silvestri, segretario generale di Avsi, ong che con il Comune di Milano e Croce Rossa Italiana, sta realizzando il progetto Building Hope (finanziato da Usaid), di affidare i fondi del piano Next Generation Eu «direttamente alle realtà del Terzo settore che hanno dimostrato di saperli spendere con trasparenza e documentando i risultati» .

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