Non ci sono solo i vaccini contro il Covid, la strategia farmacologica prevede – oltre al desametasone e l’eparina – altre possibilità: anticorpi monoclonali, cellule staminali (mesenchimali e non solo), è plasmaterapia. Le ultime pubblicazioni scientifiche, di gennaio, stanno definendo e ampliando il ruolo di queste strategie complementari. Ancor più importanti in questo momento in cui una parte delle dosi del vaccino della Pfizer sono in bilico, mentre AstraZeneca e Johnson&Johnson ancora non sono stati autorizzati da Ema.

Anticorpi monoclonali – L’Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha una procedura aperta sui due monoclonali americani (Regeneron ed Eli Lilly), ma per ora nessuna autorizzazione è in vista, per lo meno a breve. Mentre, la Germania sta già usando il secondo monoclonale che lo ha approvato appellandosi alla deroga prevista per i singoli Stati (direttiva 83/2001) che consente l’approvazione di un farmaco a livello nazionale. Va detto che i risultati di uno studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine e relativo a un trial clinico denominato (Blaze-1), hanno dimostrato che l’uso dell’anticorpo monoclonale Bamlanivimab della Eli Lilly ha ridotto del 72% il rischio di ricoveri ospedalieri. Mentre, un altro trial (Active-3) su pazienti in fase avanzata, con sintomi severi, non ha registrato effetti clinici benefici rispetto al gruppo che ha assunto il placebo. È fondamentale quindi la precocità, questo è un farmaco tempo-correlato. Prima si usa, maggiore è l’efficacia. La somministrazione intravenosa può avvenire solo in ospedale (dove ci si reca di solito in stato avanzato, dopo 7-10 giorni di febbre), e richiede diverso tempo per l’infusione. Il Fatto Quotidiano si è già occupato del monoclonale della Eli Lilly

Anche l’Italia si sta dotando del suo “monoclonale”. A Siena, è approdato alla fase clinica il monoclonale del gruppo Toscana Life Sciences (MAD) LaB ”La possibilità di avere a disposizione un’arma terapeutica estremamente potente contro Sars Cov 2 potrebbe avere un impatto enorme sulle nostre vite – spiega Emanuele Andreano, ricercatore Monoclonal Antibody Discovery del gruppo senese – entro metà anno il nostro monoclonale, potrebbe arrivare negli ospedali”. Nei prossimi giorni, “tra fine mese e metà febbraio dovremmo iniziare la fase 1 di sperimentazione clinica che verificherà la sicurezza della terapia. Per la fase 1 saranno arruolati 20 soggetti sani – continua Andreano – la fase 2, che verificherà l’efficacia della terapia, coinvolgerà invece un numero più ampio di persone che hanno contratto il virus, nell’ordine di qualche centinaio”.

Cellule staminali mesenchimali – Allo stato attuale, la sperimentazione scientifica (randomizzata, controllata, in doppio cieco) che ha riportato il più significativo risultato di efficacia contro Covid è quello che riguarda le cellule staminali mesenchimali. Il 91% di pazienti trattati con queste stem cells sono sopravvissuti, contro il gruppo controllo dove il 60% dei pazienti è deceduto. Il trial è stato realizzato dalla University of Miami Miller School of Medicine, in Florida, nonostante il numero degli arruolati sia contenuto, il risultato è estremamente significativo. Il Fatto Quotidiano si è occupato di questo studio prima che fosse autorizzato in Italia. La sperimentazione, è stata recentemente approvata – dal comitato etico dello Spallanzani – lo studio, su cellule staminali, sarà condotto dal team di Massimo Dominici, docente di Oncologia dell’Università di Modena e Reggio Emilia, “Speriamo di partire fra un mese con 60 pazienti, se lo studio risulterà sicuro potremo usare le cellule più efficaci con più pazienti in uno studio di fase IIB” .Questa tecnica è molto semplice e poco costosa perché da un singolo cordone ombelicale (con bioreattori tridimensionali) si possono produrre dosi sufficienti a trattare più di diecimila pazienti. Questo per lo meno è l’intento del progetto americano no-profit dell’Università di Miami. Poi, ci sono anche dei centri privati in cui sta sperimentando e questi potrebbero commercializzare a costi alti, anche 15 mila euro a dose. Al mondo, in questo momento ci sono 70 studi contemporanei su cellule staminali.

Plasmaterapia – I risultati della sperimentazione su Plasma dei pazienti convalescenti pubblicato il 6 gennaio 2021 sul New England journal of Medicine “dimostrano in maniera significativa che il plasma iperimmune è estremamente efficace nel ridurre il rischio di aggravamento dell’infezione da Covid – sostiene Alessandro Santin, della Yale University School of Medicine – Mi spiego meglio: questo studio con il plasma dei donatori convalescenti dimostra chiaramente che se le sacche di plasma infuse nei malati hanno un titolo “anticorpale alto” (il principio attivo di questa terapia sono gli anticorpi contro il Covid prodotti dal soggetto che dona il suo plasma) e i malati sono trattati “precocemente” (in questo studio entro tre giorni dall’inizio dei sintomi come febbre, tosse, difficoltà respiratorie, etc) e quindi prima che i danni nei polmoni e negli altri organi infettati dal virus diventino potenzialmente irreversibili, il plasma iperimmune è altamente efficace”. Quindi il “plasma” deve contenere abbastanza anticorpi “neutralizzanti”, e non tutte le sacche sono uguali, come non tutti i donatori. Va fatta una cernita iniziale per selezionare il plasma più efficace (quello con più anticorpi specifici contro Covid). È proprio questo il centro della questione, un studio randomizzato argentino sul plasma aveva registrato risultati ininfluenti/negativi, per due motivi: il livello di anticorpi neutralizzanti, e il secondo altrettanto importante riguarda la tempistica, se il plasma è utilizzato “nella fase avanzata della malattia, quando i danni al nostro corpo sono ora principalmente causati dall’attivazione esagerata del sistema immunitario del paziente (fase iperinfiammatoria della malattia Covid definita “tempesta di citochine”), il plasma ovviamente non può aiutare più di tanto”. In fase avanzata della malattia l’utilizzo di farmaci antinfiammatori come i cortisonici risultano infatti essere più efficaci.

Per concludere, “l’efficacia del plasma è stata dimostrata nello studio sul plasma iperimmune (pubblicata il 13 gennaio) completato in America su 3.082 pazienti in cui il mio istituto (Yale University, ndr) ha attivamente partecipato e i cui dati sono stati pubblicati sul New England. Attualmente, “la Yale University in collaborazione con numerose altre università americane sta arruolando pazienti Covid in un grande studio prospettico e randomizzato per produrre ulteriore e definitiva evidenza sulla capacità del plasma iperimmune nel prevenire l’aggravamento dei pazienti Covid con forma severa di infezione conclude Alessandro Santin – i pazienti attualmente randomizzati sono oltre 700 e contiamo di raggiungere l’obiettivo di 1000 pazienti nei prossimi 60-90 giorni”.

Lo studio sui monoclonali sul Nejm

Il trial dell’Università di Miami

Lo studio sulla plasmaterpia sul Nejm

Lo studio argentino su Nejm

Lo studio dell’Università di Yale

Articolo Precedente

Vaccini Covid, a che punto siamo dopo i ritardi di Pfizer e quelli annunciati da Astrazeneca. La “sorpresa” del russo Sputnik V. Ma per gli altri candidati ci vorranno mesi

next
Articolo Successivo

Trump fa ironia sul ‘lifting’ di Biden. Ringiovanire equivale ad avere successo? A volte sì

next