21 gennaio 2021 - 13:58

Vittoria, 120 anni fa l’addio alla regina che rese «popolare» la monarchia

Il 22 gennaio 1901 moriva la regina imperatrice. Con lei Londra entrò nell’era moderna e la monarchia si calò in una dimensione «domestica» che ne decretò il successo

di Enrica Roddolo

Vittoria, 120 anni fa l'addio alla regina che rese «popolare» la monarchia
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Nel gennaio 1901 — 120 anni fa — moriva Vittoria, la regina imperatrice. «Osborne, January 22,1901, 6.45 p.m. Her Majesty the Queen breathed her last at 6.30p.m.», scriveva il bollettino ufficiale della morte: alle 18 e 30 di sera del 22 gennaio. Londra diceva così addio alla sovrana che aveva regnato su un impero mai più tanto vasto (e oggi messo in discussione dai movimenti anti-imperialisti).

Imperatrice

Imperatrice dell’India dal 1876, guidò il Paese nel momento della massima espansione per una lunghissima stagione. Durante la quale fu inaugurato il Canale di Suez (1869), passò una legge che permise alle donne di trattenere parte dei propri beni dopo il matrimonio e una che introdusse l’obbligo scolastico per i bambini dai 5 ai 10 anni, come ricorda lo storico Niall Ferguson. Intanto, la Gran Bretagna ripudiava la schiavitù, il movimento delle Suffragette guadagnava consensi e Vittoria il 16 agosto 1858 mandava il primo telegramma transatlantico. Avanzava insomma a grandi passi insomma l’era moderna.

Buckingham Palace

Quando morì a 81 anni, la donna che era entrata a Buckingham Palace giovanissima, per abitarlo per prima come reggia ufficiale, in realtà si trovava ad Osborne House, sull’isola di Wight. In quel palazzo schiaffeggiato dai venti del mare che tanto aveva amato in compagnia del marito Alberto. Un amore autentico, sincero, profondo. Tanto intenso che quando il principe morì a soli 42 anni di febbre tifoidea, Vittoria inconsolabile si ritirò nel suo dolore, portando il regno sull’orlo di una crisi istituzionale.

Crisi istituzionale

Ma l’ultima stagione della sua vita fu intensa: compresa l’importanza per un regina di farsi sempre vedere — the Queen has to be seen to be believed — recuperò il tempo perduto, presenziò a centinaia di appuntamenti ufficiali. Sancì così la consacrazione del nuovo ruolo cerimoniale della monarchia (che stava intanto perdendo quello politico). Poi in quell’ultimo scampolo di vita quando i dottori al suo capezzale si avvicendavano cercando di capire se la sovrana avesse ancora la forza di vivere «giorno e notte una folla paziente aspettava ai cancelli del palazzo - come scrisse la cronaca del Manchester Guardian —. Erano perlopiù giornalisti, non meno di un centinaio...E non rappresentano solo giornali inglesi ma americani, tedeschi, francesi e altri giornali stranieri e la loro presenza è indicativa dell’interesse mondiale per le sorti della nostra regina».

In morte della regina

«In morte della regina d’Inghilterra» titolò infatti a tutta pagina il Corriere della Sera. «La regina si spense dolcemente. Prima di mezzogiorno ebbe lucidi intervalli durante i quali riconobbe i parenti che l’attorniavano...I medici, vedendo poi appressarsi l’agonia, fecero chiamare tutta la famiglia». Sulla stampa britannica intanto, «gli imperialisti la esaltano - continua la cronaca - per l’espansione della Potenza britannica sotto il suo regno; altri preferiscono lodarne le virtù domestiche, che giovarono a rendere popolare la monarchia».

La monarchia popolare

Già, forse fu proprio questo il segreto del successo di Vittoria allora, come di Elisabetta II oggi. Di Vittoria e il principe consorte Alberto, come di Elisabetta e il principe Filippo. Aver saputo creare, e conservare, il mito di «una famiglia sul trono». Con passioni in fondo popolari e quotidiane. Qualcosa di estremamente efficace — come scrisse il più influente giornalista dell’era Vittoriana, che guidò l’Economist, Walter Bagehot — anche politicamente.

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