oggi il voto sulla fiducia al senato

Per il premier nodo rimpasto e Conte-ter. Operazione «volenterosi» in due tempi

I numeri del Senato non possono non preoccupare il presidente del Consiglio. L'obiettivo di rendere irrilevante Italia Viva appare, per ora, non a portata di mano.

di Andrea Gagliardi

Governo, Conte: se ci sono 'costruttori' è momento contribuire

3' di lettura

La fiducia della Camera è un buon punto di partenza ma per Giuseppe Conte, dal voto al Senato in poi, la strada sarà tutta in salita. Sarà uno slalom nel corso del quale il capo del governo dovrà fare i conti con un rimpasto di governo al quale ormai è obbligato, che potrebbe includere anche l’opzione forse meno gradita a Palazzo Chigi: quella di salire al Colle da dimissionario, con l’obiettivo di dar vita ad un Conte-ter.

L’ostacolo del Senato

C’è prima da superare ad ogni modo lo scoglio odierno. I numeri del Senato non possono non preoccupare il presidente del Consiglio e l'obiettivo di rendere irrilevante Italia Viva appare, per ora, non a portata di mano. Nella strategia di Conte, infatti, il traguardo massimo, a Palazzo Madama, sarebbe quello di incassare un gap tra i sì alla fiducia e i voti dell'opposizione superiore alle 18 unità, ovvero al numero di senatori di Italia Viva. La soglia che oggi il premier raggiungerà al Senato sarà determinante anche per il dopo. Un conto infatti e avere pochi senatori in meno dalla maggioranza assoluta, altro è invece dover ammettere che senza il sostegno renziano è impossibile andare avanti. In questo secondo caso al premier non resterebbe che salire al Colle e rimettere il suo mandato nelle mani del Capo dello Stato. A quel punto comincerebbe un'altra partita dagli esiti tutt'altro che scontati.

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L’appello ai «costruttori»

Un rimpasto (con cessione immediata della delega all'Agricoltura e di quella ai Servizi segreti), un patto di fine legislatura e una legge elettorale proporzionale che «possa coniugare le ragioni del pluralismo con l'esigenza di assicurare stabilità al sistema politico». Sono queste le tre sirene con cui Giuseppe Conte in Aula alla Camera ha “tentato” i costruttori, che ha chiamato esplicitamente a raccolta chiedendone il sostegno: liberali, popolari e socialisti. C'è chi sostiene che le mire di Conte e del Pd siano di spaccare il gruppo di Italia Viva e riportarne un pezzo dentro il Pd e la maggioranza. Certo è che la decisione di Italia Viva di astenersi nei due rami del Parlamento ha fatto venir meno la possibilità della caduta imminente del governo e di una conseguente possibile fine della legislatura, togliendo quindi ai molti senatori e deputati la fretta di dover decidere e scoprirsi subito.

Un’operazione in due tempi

Il lancio dei “volenterosi” da parte di Giuseppe Conte sarà una operazione in due tempi, che non è destinata a completarsi entro martedì in Senato con il voto di fiducia. Molti dei possibili interlocutori, sia a Montecitorio che a Palazzo Madama, hanno deciso di attendere, di rimanere alla finestra nei due voti di fiducia, che al Senato potrebbe passare con una maggioranza relativa, intorno ai 155 voti, a fronte della maggioranza assoluta raggiunta alla Camera con 321 sì. Il secondo tempo dell'operazione partirà con il tavolo per il patto di legislatura che si aprirà nei prossimi giorni, con il quale Conte immagina di attirare nuovi parlamentari per rafforzare la propria maggioranza, con l'apertura su alcuni dossier, a cominciare da quello sulla legge elettorale proporzionale.

L’opzione della discesa in campo

In Aula a Montecitorio Conte ha provato a tracciare anche una traiettoria politica definita. Quella di una coalizione che comprenda, oltre a M5S, al Pd e a Leu, anche il Centro. E in quel «farò la mia parte» ha evocato, in qualche modo, un impegno politico in prima persona per dare amalgama alla coalizione. Se non è una discesa in campo, poco ci manca. È, in fondo, anche l'aspirazione a creare un’area moderata che abbia europeismo e atlantismo come stelle polari. Tanto che, al riferimento alla “maggioranza Ursula” il premier ha affiancato, in sede di replica, quello alla convergenza tra il suo programma e l'agenda Biden provando ad imprimere un'ulteriore spinta anti-sovranista al suo disegno.

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