12 gennaio 2021 - 22:00

Crisi di governo, Renzi-Conte e quel feeling (impossibile): «Incapace», «pensa a sé»

I due, faccia a faccia, hanno parlato anche del ruolo alla Nato. Il senatore: guarda che non lo decidi tu ma il presidente Usa

di Tommaso Labate

Crisi di governo, Renzi-Conte e quel feeling (impossibile): «Incapace», «pensa a sé»
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«Io certe dinamiche le capisco e le so valutare. Anche perché, se permetti, ho fatto il presidente del Consiglio per più di mille giorni. Ecco, il professore per me è un incapace. Sarà anche simpatico, una brava persona, tutto quello che volete. Ma è inadeguato al ruolo che ricopre. E per me deve andare a casa, lui e pure Casalino. Adesso, per favore, dovresti andargli a dire che te l’ho detto». In attesa che sguardi e lame ideali si incrocino in Parlamento, magari nel dibattito sulla fiducia-sfiducia al governo uscente, l’acme del duello rusticano tra Matteo Renzi e «il professore», come il senatore di Rignano chiama il presidente del Consiglio con intento evidentemente canzonatorio, si è raggiunta per interposta persona. Il giorno prima della Vigilia di Natale, quando non era chiaro a tutti il punto fino al quale voleva tirare la corda, il leader di Italia viva ha chiamato due ministri dell’esecutivo perché consegnassero «l’imbasciata» al premier.«Deve andarsene perché non è capace». A quel punto, assecondando quell’indole per alcuni tardodemocristiana, nonché la propensione a sopire i conflitti, Conte ha alzato il telefono e ha chiamato Renzi. Uno squillo, poi due, tre, quattro, cinque, sei. Dal cellulare privato, senza intermediazioni di segreterie o centralini perché — avrebbe poi spiegato il premier — «non volevo urtarlo o fare la parte del superiore». Nessuna risposta.

Nello scambio di messaggi che ne è seguito, Conte ha sempre chiamato Renzi «Matteo» e Renzi non ha mai nominato la parola «Giuseppe». «Ti avevo chiamato per farti gli auguri, Matteo. Sia a te che alla tua famiglia. Buone festività» (Conte); «Un augurio anche a te e ai tuoi. A presto» (Renzi). A Capodanno, stessa storia: «Matteo ti faccio gli auguri di buon anno anche in famiglia» (Conte); «Auguri a voi. Buon 2021» (Renzi). Poi all’Epifania: «Matteo ti chiamerà Gualtieri per aggiornarti sulla revisione del Recovery plan. Mi sembra che tenga conto di molti vostri suggerimenti» (Conte); «Aspettiamo voi allora. Buona Epifania a te» (Renzi). Conciliante il primo, gelido il secondo.

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In tutto questo tempo, dalla Vigilia di Natale a oggi, non c’è stato giorno in cui — a dispetto dei toni concilianti dei messaggi su WhatsApp — Conte non abbia definito in privato Renzi come «uno che pensa solamente agli affari suoi». Convinto, come proseguiva la riflessione svolta a voce alta con alcuni dei ministri più fidati, «che se riesce a far fuori me, poi, miracolosamente torna a essere popolare tra gli italiani. Quando invece lo sappiamo tutti che,fuori da questo Parlamento, è finito».

Incollati nella classifica dei presidenti del Consiglio istituzionalmente più longevi — Renzi è decimo con 1.024 giorni da premier, Conte lo tallona all’undicesimo posto con una manciata di settimane in meno e potrebbe superarlo presto, crisi permettendo — i due sono praticamente agli antipodi. Si ignorano fino al giorno in cui, ottobre 2019, il leader di Iv mette nero su bianco delle critiche al Def del 2019 rilevando che «ci hanno messo solo gli spiccioli per il cuneo fiscale». Il premier gli risponde di non fare «il fenomeno», perché «se lui ha uno stipendio consistente, 20-30 euro per il resto degli italiani non sono spiccioli». E la guerra fredda esplode. «Ah, mi ha chiamato fenomeno? Senza questo fenomeno, lui era già tornato a fare il professore», inizia a dire Renzi in giro.

Come spesso accade quando la guerra è a distanza, ci sono dei momenti in cui la pace può esplodere da un momento all’altro. Succede qualche mese fa, quando Renzi torna per la prima volta a Palazzo Chigi dopo esserne uscito dimissionario la sera del referendum. Quando esce, i suoi gli chiedono: «Hai cambiato idea su Conte?». E lui: «No, ma gli ho trovato una qualità. Sa arredare gli immobili. L’appartamento a Palazzo Chigi è messo a lustro, con me c’era sempre casino». Qualche giorno dopo, capendo che la pace non era ancora sbocciata, il presidente del Consiglio fa un nuovo tentativo di avvicinare il senatore di Rignano. Lo convoca di nuovo, pochi giorni prima del voto negli Usa. Ma stavolta i due sono soli. «Parliamo di te. Che cosa vorresti fare, Matteo?Sul posto alla Nato, per esempio...», accenna. Ma Renzi non la prende bene: «Vedi, quel posto alla Nato non lo decidiamo né io né te, professore. Lo deciderà il prossimo presidente degli Stati Uniti».

Il resto è la storia di un duello con un finale tutto da scrivere. Uno che vince, l’altro che perde. Col segno X in schedina, ormai, che pare quasi un miraggio.

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