11 gennaio 2021 - 18:56

Alex Zanardi e gli altri: Federica Alemanno, la dottoressa dei risvegli

La neuroscienziata Federica Alemanno si è specializzata, tra l’altro, in «awake surgery», la chirurgia da svegli. Al San Raffaele di Milano c’era lei accanto ad Alex Zanardi ricoverato dopo il drammatico incidente di giugno

di Adriana Bazzi

Alex Zanardi e gli altri: Federica Alemanno, la dottoressa dei risvegli
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Non è nel repertorio classico dei gesti medici tenere la mano a un paziente, anche per ore, ma Federica Alemanno, neuropsicologa, lo fa. Lo ha fatto l’anno scorso, a lungo, con Alex Zanardi, il campione di handbike, quando, dopo il drammatico incidente di giugno vicino a Siena e i primi interventi d’urgenza, si stava risvegliando al San Raffaele di Milano. «È stata una grande emozione quando ha cominciato a parlare, nessuno ci credeva. Lui c’era! E ha comunicato con la sua famiglia», ci racconta la dottoressa Alemanno. E la mano la neuropsicologa dell’istituto milanese la tiene anche a molti altri pazienti, per lo più giovani, quando, in sala operatoria, vengono sottoposti a delicati interventi chirurgici al cervello, per tumori o malformazioni, ma da svegli. «Si chiama awake surgery, appunto chirurgia da svegli. È una tecnica molto particolare - ci spiega Alemanno - che si fa in pochissimi centri in Italia e ha come obiettivo quello di garantire al paziente la migliore qualità di vita possibile dopo un’inevitabile intervento chirurgico».

Federica Alemanno ha soltanto 36 anni, ma ha accumulato una grande esperienza in campi medici oggi di avanguardia. Ha una laurea in neuroscienze, una di quelle lauree «interfacoltà» a cavallo tra medicina, filosofia e psicologia. «La mia cultura umanistica - aggiunge - è maturata al liceo classico che ho frequentato ad Alessandria (lei è piemontese ed è nata ad Asti, ndr). Quella medico-scientifica all’Università Vita e Salute del San Raffaele e quella tecnologica in un post-dottorato al Dipartimento di Bioingegneria all’University of California San Diego (Ucsd), negli Usa». «Ero interessata - spiega - a capire come lavora il cervello, come nascono le emozioni e come funziona il pensiero. Nel mio lavoro non ho un bisturi in mano: quello che faccio è analizzare, nelle persone, tutti questi meccanismi per preservarli in caso di malattia. E sono stata spinta anche da un’esperienza personale: mio papà ha avuto un ictus quando avevo 18 anni». Con questo suo background Federica Alemanno al San Raffaele, dove è appunto responsabile del Servizio di Neuropsicologia e professore alla facoltà di Psicologia dell’Università Vita e Salute, lavora su due fronti: la riabilitazione e l’attività in sala operatoria.

Partiamo da quest’ultima. «La awake surgery, la chirurgia da svegli, viene utilizzata in casi particolari, soprattutto in pazienti giovani , fra i 30 e i 50 anni, con due tipi di malattia: i gliomi cosiddetti a basso grado e i cavernomi», precisa Alemanno. Puntualizza: «I gliomi sono tumori del cervello non particolarmente aggressivi, ma che possono, con la loro presenza in certe aree, compromettere alcune importanti attività cerebrali come la memoria, la parola e l’attenzione. Stesso discorso per i cavernomi (un accumulo di vasi sanguigni anomali, ndr). Parliamo, comunque, di malattie piuttosto rare».

Come funziona in pratica? «Io sono la prima - continua Alemanno - a vedere il paziente candidato all’intervento e lo sottopongo a test per capire quali sono le sue capacità cognitive, da verificare poi in sala operatoria». Un esempio? Se un paziente presenta un tumore in una zona del cervello da cui dipende la memoria, gli viene mostrata una foto della moglie o dei figli o di una persona nota per controllare se li riconosce. Poi si arriva in sala operatoria dove questi interventi vengono attuati grazie al cosiddetto gamma knife, un bisturi fatto di radiazioni, che arriva dritto sul bersaglio, lo “ritaglia” e distrugge il tumore con precisione millimetrica.

«Prima di mettere in azione il bisturi - racconta Alemanno - il chirurgo simula, con stimolazioni elettriche, l’intervento zona per zona. Se per esempio siamo nell’area della memoria, ripropongo al paziente, che è sedato, ma non addormentato, la fotografia della moglie. Se la riconosce, significa che il bisturi non danneggerà questa funzione e il chirurgo può procedere. L’obiettivo non è solo la sopravvivenza del paziente, ma quello di salvaguardare il più possibile le funzioni cognitive e assicurare la migliore qualità di vita possibile».

Parliamo di una tecnica, nata in Nord Europa e introdotta in Italia da Miran Skrap a Udine, che pochissimi centri in Italia applicano. «Durante queste operazioni, che durano a lungo, io tengo la mano al paziente - continua Alemanno - per rassicurarlo ed evitare eventuali attacchi di panico». Questo tipo di interventi ha un pregio, anzi due, in epoca Covid: evitano a questi pazienti, che non vengono addormentati, la rianimazione con un risparmio di costi (perché la rianimazione è molto costosa) e lasciano liberi letti per chi, colpito da Covid, ha bisogno di cure intensive.

E arriviamo al secondo capitolo dell’attività di Federica Alemanno: la riabilitazione neurologica. Il risveglio di Zanardi è stato un risveglio della speranza che l’ha resa orgogliosa del suo lavoro e le ha offerto uno stimolo in più per continuare con tanti altri pazienti. Persone che hanno subito interventi chirurgici al cervello, malati di Parkinson, di Alzheimer o di altri tipi di demenza. E adesso anche di pazienti guariti da Covid, ma con sindromi simili a quelli della cosiddetta sindrome da stress post traumatico: la Long Covid Syndrome. «Paradossalmente i pazienti Covid che sono stati intubati in rianimazione stanno meglio – racconta Alemanno – perché non erano coscienti. I più traumatizzati sono quelli che hanno vissuto l’incubo dei caschi, sofferto la mancanza dei familiari e visto gente morire attorno».

Alemanno sta anche guardando al futuro «tecnologico» della riabilitazione. Già prima di Covid ha avuto un incarico, al Ministero della Salute, per coordinare una task force sulla tele-riabilitazione per pazienti con disturbi cognitivi. E adesso sta pensando a una App per seguire i malati e i loro caregiver a domicilio. La tele-riabilitazione è una tecnologia che la ricercatrice utilizza anche per seguire pazienti all’estero: nei Paesi del Golfo (dove ha lavorato, in particolare a Dubai) e nell’Est europeo. «Il cervello non è un muscolo, ma è come se lo fosse - dice - e ha bisogno di un allenamento continuo: così si creano sinapsi fra le cellule cerebrali che possono, in questo modo, riprendere funzioni compromesse». Tutto bene, ma probabilmente a questi pazienti mancherà la stretta di mano.

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