8 gennaio 2021 - 23:20

Olimpiadi di Tokyo, nuovo allarme: «I Giochi non sono garantiti»

Pound, membro del Cio: «Il virus incombe come un elefante in una stanza». Il rebus dei vaccini: è giusto dare la priorità agli atleti che devono partire per il Giappone?

di Marco Bonarrigo

Olimpiadi di Tokyo, nuovo allarme: «I Giochi non sono garantiti»
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«Le Olimpiadi di Tokyo non sono più garantite». L’ha detto mercoledì alla Bbc Dick Pound — da 42 anni autorevole membro del Cio — seminando il panico tra i prudentissimi colleghi olimpici e gli organizzatori giapponesi.

Pound è il primo a rompere la glassa di ottimismo spalmata sui Giochi, in programma dal 23 luglio all’8 agosto prossimi. «Nessuna certezza — ha spiegato — perché il virus incombe come un elefante in una stanza. Ora la priorità per gli atleti deve essere la vaccinazione perché sarebbe saggio considerarla requisito essenziale per gareggiare».

A quasi sei mesi dalla cerimonia inaugurale, con l’epidemia che non si placa e il Giappone sull’orlo dello stato di emergenza, la vaccinazione appare sempre più l’unica via di salvezza per i Giochi e altre grandi competizioni sportive internazionali. Poco affidabili i tamponi preventivi, inattuabile la quarantena che stravolgerebbe — nei 10/14 giorni che precedono le gare — la preparazione degli 11 mila atleti presenti oltre a costringerne alcuni (ad esempio i ciclisti impegnati fino al 18 luglio al Tour de France) a scelte agonistiche dolorose.

La prospettiva del vaccino preoccupa comunque il Cio e le federazioni perché si tratta di armonizzare i protocolli di oltre 200 diversi stati — in alcuni la prospettiva di rifornirsi del farmaco è lontanissima — e di garantire una priorità di somministrazione per atleti, tecnici e accompagnatori a cui le dosi devono essere iniettate entro la fine di giugno. Quello della priorità è tema delicato. Pound la mette giù facile: «Da noi in Canada i probabili olimpici sono soltanto 300/400 e rappresentano milioni di concittadini in una competizione di enorme prestigio. Non credo che far saltare loro la coda possa provocare una rivolta popolare o stravolgere l’attesa di chi ha bisogno del farmaco per motivi più seri».

Nei giorni scorsi un incontro tra il comitato olimpico britannico e il governo avrebbe già portato a una bozza di accordo. Il Cio però insiste su due punti: non vuole prendersi la responsabilità di imporre l’obbligo del vaccino (che lascia agli organizzatori, già nei guai per conto loro) e non lascerà che vengano discriminate le nazioni in cui l’accesso al farmaco è e resterà difficile.

Ma c’è un’altra questione spinosa: l’atteggiamento del Giappone, che fornirà la maggior parte del personale di supporto organizzativo oltre (forse) a quegli spettatori indispensabili a far quadrare i conti. Il governo locale ha opzionato oltre 500 milioni di dosi da quattro fornitori diversi ma le operazioni procedono al rallentatore perché — come scrive la rivista Lancet — la nazione ha il più alto tasso di diffidenza rispetto alle vaccinazioni al mondo per una serie di episodi negativi legati a campagne vaccinali del passato: solo il 30% dei cittadini è nettamente favorevole al siero contro il 50% degli Usa.

Nel dubbio, c’è chi segue altre strade. Ad Abu Dhabi la Uae Emirates di Tadej Pogacar — vincitore dell’ultimo Tour de France — è stata la prima squadra sportiva professionistica al mondo a vaccinarsi in massa. Il siero somministrato a 59 persone (sette gli italiani) è di produzione statale cinese (Sinofarm) e ha efficacia (un 79% che rende scettici alcuni studiosi) inferiore a quella della concorrenza. È stato adottato da Emirati Arabi e Bahrain che hanno sviluppato programmi di ricerca scientifica autonomi per verificarne sicurezza e affidabilità e ora lo usano per proteggere un team ciclistico che, di fatto, è statale.

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